Quello del lievito madre è un mito che da un po’ gira fra i blogger italiani (quelli francesi invece stanno impazzendo per la MAP, la machine à pain – per una volta siamo messi meglio noi), un mito alimentato con fervore a gran rinforzo di bustine e barattoli pieni di una strana sostanza morbida e viva, scambiati sotto il tavolo o a volte perfino spediti per posta in paesi lontani. Avendo poi due amichette che da tempo il pane lo fanno da loro (e non col cubetto di lievito di birra! ecco le rispettive considerazioni sull’argomento di Mara e di Petula), la cosa era abbastanza inevitabile: anch’io mi sono ritrovata con il mio barattolino di madre (made in EUR, grazie Mara!) e le istruzioni per l’uso. Inoltre, una buona dosi di curiosità per quella roba che sembra fondamentalmente un tamagoshi da tenere al frigo (per avere una madre felice e contenta bisogna nutrirla a cucchiaiate di pappetta di farina e acqua, la qualità della farina essendo proporzionale al livello di gradimento della madre – non è uno scherzo, si racconta perfino di lieviti che abbiano letteralmente sputato la farina barilla…). Insomma, ci vuole un po’ di tempo per acclimatarsi a quel curioso ospite che vive fra le mozzarelline e la rucola, e sopratutto per farci amicizia ovvero riuscire a farci qualcosa che assomigli a… del pane. Che il nervo della guerra, in questo caso, è proprio il pane a lievitazione naturale.
E quindi saranno ormai due settimane che nella mia cucina stanno lievitando delle pappette, che accumulo farine (altro che shampoo, qua ormai le conversazioni riguardano la macinazione a pietra, i setacci e le ore di lievitazione…). Anzo, ne approfitto per comunicare al mio fornaio (il quale penserà che mi son beccata un’aviaria folgorante dato che da due settimane non filo più le sue rosette) che sto benissimo!
Comunque, va detto che il pane fatto col lievito madre è veramente diverso (me l’avevano detto ma bisogna provare per credere): a parte che il lievito di mara sa addirittura di champagne (cosa che continuo di trovare allucinante), tutto il procedimento, dalla consistenza dll’impasto alla lievitazione e ovviamente al risultato, sono del tutto diversi rispetto al quelli dell’impasto fatto col cubetto di lievito di birra. Anzì, in qualche modo, si sta più attento, più teso di rispettare l’impasto, di curarlo, di scoprire il risultato pure. Quasi quasi che quella roba che fa bollicine da solo vi rimandi dritti dritti ai tempi degli egiziani che la lievitazione, appunto, la scoprirono. Tutta questa digressione per dire che finalmente mi è venuto un pane decente, bello, terribilmente soddisfaccente… (metà manitoba e metà farina integrale Pietri), religiosamente consumato a colazione con un velo di burro Ocelli… una goduria ad alto tasso di auto-gratificazione… e siamo solo all’inizio :-)
cronaca di un amore annunciato: il mio pane
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