Vabbe, parliamo un pochino di ristorantini londinesi. La questione è delicata, un po’ perché intanto io non sono esperta dell questione britannica (proprio per nulla), e un po’ anche perché i britannici fungono in qualche modo da pecore nere gastronomiche per tutto il resto dell’Europa. A dire il vero avrò anche contribuito, nel mio piccolo, a mantenere e rafforzare quella brutta reputazione diffondendo i resoconti terrificanti di ‘come mi facevano mangiare gli inglesi’ circa 15 anni fa, quando ancora facevo le gite scolastiche. Inutile chiedere, non mi ripeterò :-) Fatto sta che, se proprio devo predicare qualcosa, direi di coltivare un po’ di sano relativismo, e magari sosterrei anche il famigerato principio secondo il quale ‘la gente cambia’. Poi nella pratica è chiaro che essendo io belga non mi si sconvolge poi tantissimo lo stomaco se mi ritrovo con purea di patate e panna e burro a destra e a manca – ad altri si, però complessivamente pure gli altri dovrebbero imparare che ‘loro’ e il loro organismo non sono il metro universale di ciò che va e non va fatto in cucina (nel senso che di metri universali, in fin dei conti, non ce ne sono… )
Detto ciò, e tornando alla questione del ristorante inglese, sicuramente, nel passato, gli inglesi ne han fatte, per un po’, di tutti i colori. D’istinto tenderei a pensare a un disorientamente un pochino post-industriale, che forse viene anche dal carattere cosmopolita del UK, in quanto terra coloniale e di immigrazione e quindi di contaminazioni, anche culinarie. E in tutto ciò probabilmente si era un po’ persa di vista l’identità culinaria inglese, e forse per chi sa quali motivi non si pensava neanche piu un granché a ciò che fa bene e non bene, è buono o no ecc. Resta che, e a iniziare da personaggi mediatici come jamie oliver & co, sono un paio di anni che non è piu esattamente cosi. Cioè, visto da fuori, sembra veramente che ci sia un qualche cosa che assomiglia a una presa di coscienza, delle particolarità nazionali e della necessità di fare buono e bene. Da cui fenomeni come i gastropub, dove si mangiano piatti alla mano, semplici, ma di impronta britannica tradizionale e con materie semplici ma buone e ristoranti come questo, che si trova esattamente sospeso a fianco del Borough Market, bello, luminoso, elegante e insieme inglesissimo, attento ai sapori locali (loro), ai prodotti di stagione (loro, e del mercato lì sotto), ma senza pretese né snobbitudine eccessiva, insomma, una specie di icona della semplicità ritrovata e che proprio per quello mi è piaciuto molto.
Trota affumicata del Loch Etive con watercress e limone
Coda di rospo arrostita con cavolfiore e gamberetti speziati
Lawrence Keogh, lo chef
Crumble di rabarbaro con salsa inglese alla vaniglia
Roast, The Floral Hall, Borough Market, Stoney Street London SE1 1TL 020 7940 1300
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