Con l’accorciarsi del tempo e la demoltiplicazione del lavoro (eh, signori, che volete, è la vita moderna), mi sono accorta che, in genere, mi piacciono quelle cose e persone che, senza intutili eccessi, ti offrono soluzioni concrete (miii, sembro la pubblicità vivente per un ufficio di consulenza :-). Questa zuppa per esempio, nella sua singolare zuppitudine, di soluzioni ne offre ben tre…
1) vogliamo trovare una fine un minimo simpatica per quel mango che sta in frigo da quattro giorni e che fra un po’ – per vendicarsi del mio vergognoso immobilismo culinario – si trasformerà in pappetta marroncina e si appiccicherà alle candide pareti del elettrodomestico che lo ospita?
2) ma perché non riesco a ricordarmi del (validissimo e sacrosanto, se sono certa) motivo per cui quel aceto alla polpa di mango (sito produttore) scovato alla grande épicerie l’anno scorso poi l’ho dovuto a tutti i costi acquistare e portare a casa?? (cioè dov’è cavolo s’è mai visto che uno avesse ‘bisogno’ di aceto di mango’?)
3) si vabbe che abbiamo da nutrire il foodblog ma qua al solo pensiero dei fuochi e di qualunque preparazione anche vagamente tiepida, mi sento squagliarmi manco fossi un ghiacciolo immerso in una cocacola bollente. bleerk.
Ebbene la soluzione si chiama quindi gazpacho di mango (e zenzero, a voler essere precisi). Ricetta di cui mi sono ricordata in seguito alle interrogazioni esistenziali di cui sopra e scovata su un libro interamente dedicato all’argomento gazpacho e al quale avevo già accennato un’altra volta.
La ricetta, leggermente velocizzata rispetto all’originale: Pelare e tagliare a dadini un mango, sistemare in una ciotola capiente. Aggiungere un pezzetto di 2cm di zenzero fresco, sbucciato e tagliato a bastoncini sottili, poi 100g dimollica di pane, due cuchiai di aceto di mango [vabbe su se non l’avete usate quello di jerez (e se non avete manco quello prendete quello di mela)], 5 cucchiai di olio d’oliva, sale e pepe. Coprire il tutto con dell’acqua, a filo, e lasciar riposare al frigorifero per una notte. L’endomani, frullare e servire freddissimo.
ps: musicalmente non posso non dirvi che mi sto ubriancando a colpi di des roses & des orties, di Francis Cabrel, anzi, veramente, faccio quasi fatica a credere che ci fosse al mondo un artista nel quale uno si possa ritrovare così talmente tanto (e pensare che il suo primo album uscì nel anno della mia nascita, è dirvi se ci sono cresciuta con quella roba lì). Dall’immaginario limpido e poetico, vicino alla natura, alla lingua essenziale epurata e insieme densa, plastica, passando per il lato melancolico-musicale di meravigliata désabusion, ecco se dovessi ascoltare solo un cantante sarebbe decisamente lui. Brani preferiti: questo, questo e quello.
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