Risotto con zafferano, nero di seppia e cedro candito, di Gennaro Esposito.
E la terza macchina che massacro a forza di salire qui sopra, mi dice papa Esposito mentre fa ruggire il motore della panda intenta a salire le stradine ripide (a 45 gradi?) di Montechiaro. Le vie sterrate sono a malapena più larghe della machinetta stessa e, mentre penso che mi basterebbe allungare il braccio per toccare le sponde erbose, aggiunge e pensate che qui le strade le hanno pure allargate. Ahppero. Continuiamo a salire mentre fra una casetta di pietra e un uliveto continuo a intravedere l’azzuro, il golfo di napoli e il vesuvio cinto di strati geometrici di nebbiolina. Ecco, questa è la robbe’ de Gennaro… Davanti a noi tremila metri quadri di cose verdi, filari di uva (piedirosso, a Gennaro non piace allora il vino me lo bevo io) e sotto fagiolini, e melanzane, e una marea di zucchine (perché Gennaro con le foglie ci fa la minestra allora ne ho messo di più), i pomodori quelli da insalata che fra poco matureranno, poi fra un po’ inizierà pure la stagione delle conserve, e poi cipolle, e noci, e amarene, e pere, quelle nostrane – non so come si chiamano in italiano – che col cioccolato stanno proprio benissimo, e negli interstici ancora basilico, e cavoli, e broccoletti calabresi, e anche patate rosse, e quelle a pasta bianca, più basse. E in mezzo a tutto quel ben di dio che cresce in un silenzio assordente in un orto con una inverosimile vista sul golfo di napoli: le tubature dell’irrigazione perfettamente ordinate, una statuina di padre pio e il sole che cinge amorevolmente tutte queste verdurine che finiranno qualche centinaia di metri più giù, nella cucina di Gennarino, e infine sui tavoli della torre del saracino. L’ex lavoratore del cementificio di Castellamare cammina nei vialetti del’orto, indicando fiori e frutti. Per unico rumore si sentono i fogli di cavolo, ormai secchi, lasciati a mo’ di concime in mezzo ai sentierini, che si sbriciolano sotto i passi. Poi, proprio dietro all’albero più bello che ci sia – un carrubo, tronco contorto, fogliame fitto e ombra riparatrice – lo sguardo abbraccia un altro pezzo di golfo, appaiono sorrento e dintorni, come da cartolina. Ecco, fra le sorprese della vita, ce ne sono alcune belle come trovare, tra gli ombrelloni rosso e giallo di vico equense, uno struggente frammento di civiltà contadina e un cuoco capace di piatti di grandi sensibilità, dalle sfumature piene di poesia.
Torre del Saracino – Via Torretta, 9 – Loc. Marina d’Equa – 80069 Vico Equense (NA) Tel. +39 081.802 85 55
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