Era il lontano 2002 e e quel anno, non ricordo come, curiosando non so dove, lessi di uno strano genio che in cucina combinava cose quasi inquietanti, come spumette e arie, e che destrutturava piatti familiare per poi rimontarne i sapori in un ordine diverso. Una specie di artista postmoderna insomma, solo che esercitava in cucina. E di questa cosa m’incuriosai molto. Di ristoranti e cuochi sapevo poco o nulla, resta che quel anno è uscito il primissimo articolo che io abbia mai scrito sulla cucina (in francese, su le soir :-). E parlava appunto di come il postmodernismo sembrava di essere entrato in cucina, e di quel spagnolo già molto en vogue che si chiama Ferran Adrià. Da allora, oltre a essermi autoinsultato circa mezzo milliardo di volte per non aver prenotato subito, cioè quando era già difficile ma ancora umanamente possibile, mi ero più o meno rassegnata all’idea che al bulli non ci avrei mai messo piede (causa liste d’attesa piena da qui al 2017, per dire). E proprio quando meno te lo aspetti…
…un bel giorno ti dicono ‘Che, c’hai da fare dal 15 al 18? no perché ci sarebbe da andare da adrià… E rimani un attimo lì basito, e poco dopo voli a barcellona, e poi prendi una macchina e te ne vai direzione girona, e poi figueras, e infine roses. Il tutto con quella lieve e deliziosa sensazione di euforia che precede i tuoi passi e che lasci felicemente andare per conto suo.
Roses, Costa Brava
Roses è francamente meno peggio di ciò che avevano cercato di farmi credere. E una cittadina posta in un piccolo golfo, con un lungomare che la cinge tutta, sdoppiato di una sottile striascia di sabbia orlata di palme. E turistica, ma non è rimini, non è manco ostia, anzi è proprio tranquilla, e poi il mare ha un bel colore blu intenso e, slalomando fra pizze e paella para las turistas, trovi i calamaretti alla plancha da Rafa’s (poco più di una bettola, una plancha e un po’ di pesce freschissimo, niente più :-) che sono una semplice meraviglia. In bonus, l’eterno odore di aglio bruciato che galeggia per strada – anzi ho il vago sospetto che sia l’equivalente spagnolo del profumo del sugo al pomodoro, la domenica a roma…
Da roses c’è semplicemente da salire una colina e ridiscenderla, verso cala montjoy. Pare che la strada una volta era sterrata, si intravvedono ancora dei bulletti selvaggiamente dipinti sulla roccia, le indicazioni stradali di tempo fa (daltronde anche Lourdes una volta era una semplice cavernetta) poi si lasciano erbe secche e campi aridi, e scendendo torna l’acqua di un blu profondamente trasparente, le barchette che galeggiano, delle rocce, e un po’ di gente in spiaggia.
Adrià chi?
Fra parentesi, mi fa sempre sorridere quanto le cose, in fondo, siano relative. Sulla spiaggetta di cala montjoy c’è magari chi non sa. Non sa che proprio lì è la mecca di un popolo di intrippati gastronomici. E vive benisismo così. Come quella mia amica belga che m’annunciò, un giorno, placida, che andava in vacanza a roses. Mi venne quasi un infarto e, dopo che mi fossi a metà strozzata con la spremuta che stavamo sorseggiando e che cercai di spiegarle dove stava andando, lei aggiunse che andava lì per fare sub e che di certo non andava in vacanza per mangiare. (eehhhhh????!!! :-)))) Però, ecco, il mondo è bello anche per quello, direi proprio :-)
El Bulli
Insomma ti avvicini religioso, ci sono le insegne, l’ingresso, la vista sul mare, tutto visto mille volte, in foto, in video, eppure è diverso. Poi scopri che il ristorante più ambito della terra (possiamo dirlo?), non ha nulla a che vedere con quei luoghi disegnati e pensati per essere in, che è piuttosto una villa come immagino sono quelle che, da queste parti, stanno al mare, dall’arredamento classico e un filo rustico, e scopri uno a uno i bulletti che la decorano, e altri mille oggetti che in qualche modo appartengono alla storia del luogo.
Ferran
E poi arriva lui, il cuoco più noto sulla faccia della terra (mi fa un po’ senso esprimermi in termini così assoluti ma temo sia niente più che la realtà). Ha lo sguardo vivace, è vivace, attento, energico, accoglie, chiacchiera, sorride, s’esclama, e ti rendi conto che è un essere umano, e che veramente è anche gentile, e ti fa una gran impressione di franchezza, e di questa autenticità apparente non puoi che essere felice :-) E quindi il cuoco più famoso al mondo da pacche sulle spalle, ride, scherza, il tutto in modo assolutamente normale, senza posa, senza presunzione, senza recita, sembra, e non perde neanche mai di vista però ciò che succede in cucina. Anzi è decisamente concentrato sui preparativi per la cena. Insomma, Adria, in qualche modo, ti comunica un gran senso di normalità e, quindi, di serenità.
Chaud devant!
Stavamo quindi lì, piantati in mezzo allle cucina del Bulli. Che sono ovviamente un qualche cosa di memorabile. Intanto, non appena posi la punta del piede dietro quel piano di lavoro ornato di testa di toro e che divide la zona servizio dalla zona cucina, oriol, il secondo di adria, ti ferma e ti spiega che, per muoverti senza far danni in ciò che più che una cucina è una specie di pericolosissimo labirinto, fatto di corridoi, angoli ciechi e budelle, bisogna imparare una parola fondamentale: Quemo. Ovvero, sempre se ho ben capito, ‘brucio’ (suppongo sia l’equivalente del chaud devant francese). E in effetti, dopo pochi minuti uno si accorge che la cucina in realtà è un alveolare dove risuonano di continuo dei quemo più o meno urgenti, e che quello è anche l’unico modo per evitare vassoi e ciotolone che viaggiano col turbo fra un reparto e un’altro. Quemo! E hai giusto il tempo di appoggiare la schiena al muro. Quemo!!, e eviti il disastro di una collisione frontale con un centinaio di bichieri impilati…
La formula uno e il colleggio
E sempre interessante osservarle, le brigate. Ci sono per esempio delle cucine dove sembra di stare al pit stop della formula uno: i cuochi sono tanti, hanno divise perfette, immaculate e in modo assolutamente sincronizzato riescono a sbrigare in un lampo un lavoro anche articolato. Qui invece, almeno durante i preparativi, la brigata, affollata e insieme disciplinatissima, ti da l’idea di stare in mezzo a un colleggio vecchia maniera, dove ognuno si tiene scrupolosamente al suo posto, e studia con applicazione devota. E forse l’elemento più serio e applicato di tutti è proprio adria, che gira, assaggia, discute, medita su sapori, texture, colori, manneggiando enormi fascicoli di ricette e gli elenchi, composti e stampati ad hoc, di ciò che nel dettaglio verrà servito a ogni tavolo a ora di cena. Come se la ricerca e il lavoro di invenzione, di pensamento, fosse in realtà una costante, come il respiro. Davvero, così, a naso, traspare una volontà e un etica del lavoro davvero invidiabili…
Costine & polenta
Poi ti viene quasi regalato un episodo della vita della cucina, quando i cuochi (in tutto al bulli lavorano in 70 – per 50 coperti), fanno piazza pulita e che dalla piccola cucina vicino ai lavapiatti iniziano ad uscire teglie e teglie di costine, marinate e cotte a forno, e ciotolone di polenta. Sui ripiani di lavoro nel mentre hanno steso delle cerate, e poi sono arrivate pile di sedie di plastica, bottiglie d’acqua e pani interi. Il pomerigio finisce, la brigata cena, e lo chef con loro, e di nuovo l’atmosfera ricorda quel ronzio gioioso, quella parentesi di libertà, della mensa del colleggio (solo che qui di sicuro si mangia meglio). Infine, una fetta d’anguria e una sigaretta nello spazio dietro alla cucina, con vista sul mare, e quando mancano due tre minuti alla fine della pausa tutti scattano frettolosi, chi a portare a lavare piatti e bicchieri, chi a reimpilare le sedie. E nel giro di pochissimi istanti scompare ogni traccia della cena del personale. Inizia invece il conto alla rovescia della cena in sala.
Si ma allora da adrià come si mangia?
Beh intanto devo dire che al bulli col cava aperitivo servono delle buonissime patatine, tipo che sono sotillissime e ricordano un pochino quei prawn crackers asiatici però in molto più buono :-) Dopodiché inizia una cena molto snacking, con – in principio – una trentina di portatine di cui gran parte sono appunto bocconcini, piccoli snack, cucchiai o piattini, divertenti e anche buoni (si e anche technici, senz’altro).
Si ma nel preciso?
Davvero molti sapori giapponesi in questa cena adriana, che si è aperta con un involtino di nori croccante, piegato attorno a un pralinato di sesamo nero, ricordando perfettamente una crepe dentelle ma in versione nipponica. Dai wonton fritti profumati di soia, a quelle divertenti e minuscole gelatine di shizo, passando per il coctail aperitivo di schweppes, sake e yuzu, e la briochina di mollica al sesamo nero al miso, i sapori del giappone ci sono assolutamente tutti, yuzu, nori, miso, dashi, sesamo, alghe e via dicendo. In mezzo a tutto ciò anche delle cose belle, leggere e poetiche come quei fiori dai petali fatti con del frutto della passione (non chiedermi come), con un cuore di nocciole e zafferano, una fogliolina che sembrava basilico e che sapeva di mango, o quel foglio di carta che sembrava fatta della stessa sostanza del barbapappa con dei fiorellini compressi dentro. E poi non sono mancati anche delle strizzate d’occhio al carattere italiano del tavolo (quando ve lo dicevo che ogni tavolo ha il suo menu ad hoc) sotto forma di mochi di gorgonzola (!!) e tanto per imbrogliare un po’ le carte, latte di bufala con fragole, basilico e miele di corbezoli, un cucchaino che sapeva intensamente di carbonara, e via di questo passo…
Alors, heureuse?
Beh, si. A parte il fatto di aver chiuso, quella sera, un percorso, un cerchio, iniziato sei anni prima, direi che il bulli ha decisamente, e velocemente, spazzato via quei infimi timori che uno sente, sotto, ogni volta che va in un luogo noto, o che sconfina nel mito. C’è sempre un po’ il timore di rimanere deluso (dopo tutto, magari quella cucina non è quella che fa per te, magari è sopravalutata, magari semplicemente beccherai la serata sbagliata ecc). Invece, il bulli nella sua stragrande semplicità (intendo quel lato umano, e serio, e devoto, di chi lavora, intendo l’assenza di divismi, di sprezzante altezzosità – che a volte s’incontra, ma forse mai in quei luoghi che veramente meritano la loro fama :-), riesce a essere, nonostante il tempo che è passato, la forte presenza nei media ecc, esattamente là dove non l’aspettavi, in un limbo al di là delle proprie aspettative. In quella terra di nessuno che ti fa pensare che era terribilmente meglio di quanto non eri riuscito a immaginare. Quella di adria poi è veramente una cucina piena di idee, ma anche concreta, una cucina con una attenzione al gusto all’altezza di quella alla forma, portando in tavola cose che ti interpellano, ti divertano, che ti portano in degli altrovi della propria memoria. Una cena quindi come un autentico scambio, un viaggio, una vera esperienza sensuale. E nonostante spesso adria sia stato definito come una specie di mago delle polverine, e nonostante altrove capita spessissimo di chiedersi ‘ma qua c’era proprio bisogno di fare questo o quest’altro passo technico?? Ma non era meglio, in fondo, fare più semplice??’, qui la technica non è mai fine a se stessa. Semmai ti vien da chiedere ‘ma come cavolo ha fatto??’ ma te lo chiedi in modo divertito, esattamente come quando da bambino osservi il mago, e lo sai che c’è un trucco, ma non t’interessa poi tanto capirlo, perché il piacere, e la magia, dello spettacolo supera di gran lungo la mera spiega technica. E quindi, semplice meraviglia, stupore e divertimento, e semplice godimento per dei sapore ritrovati, recomposti da adria (penso all’anatra laccata o alla barbapapa) per dei giochi di contrasti e texture inattese, eppure piacevolissime. Grande. Davvero. E ho detto tutto :-)
Bonus track
E, per gli amanti del genere (non faccio nomi… :-)), riportiamo perfino questo… :-)
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