A parte che credo un po’ per tutti, il nome suoni stranamente familiare (che fosse per via del manzo o altro) a dirla tutta non sapevo bene cosa aspettarmi da Kobe. Anche perché la relativa voce sul Lonely Planet esordisce dicendo che si tratta di una delle più belle città del Giappone, per poi finire dicendo che nessun sito della città rappresenti una meta imperdibile, aggiungendo però che è una città molto cosmopolita. Con queste indicazioni vagamente contradittorie in tasca, e approfitando di una momentanea tregua pioggiosa, siamo partiti per una passeggiata. Per poi accorgerci che di contraditorio a Kobe non c’era solo ciò che ne scriveva la guida :-) In fondo, e con l’esperienza di una sola giornata passata qui (cioè: niente :-), è davvero così: Kobe è insieme giapponese (versione moderna, la città ha nulla o pochisismo a che vedere con, per dire, Kyoto, ma d’altronde è anche stata rasata per metà al suolo causa terremoto poco più di 10 anni fa), ma anche occidentale, in senso lato, e questo per primo si manifesta forse nell’atmosfera, in come è tenuta la città, nella gente che osservi, insomma, Kobe è un filo più vicino a noi, in quanto noi, per i rigorosi parametri giapponesi, siamo decisamente… sciatti (eh, lo so, non è una bella notizia ma veniteci voi a stare un po’ qui e poi mi direte :-)
Kobe indigeno
Per prima cosa, e nonostante lo zero assoluto in materia di programmi, ci siamo casualmente imbattuti, a 10 minuti dalla stazionedi Sannomiya, in un… mercato (giuro che non l’ho fatto apposta, anzi, per una volta che non lo faccio apposto… :-) E un mercato bello poi, non uno di quei luoghi affolati di turisti come il mercato di Nishiki (che è bellissimo fino a marzo, ultimamente sembra di stare alle invasioni barbariche perpetue :-P), insomma, un mercato giapponesissimo, frequentato da gente giapponesissima, e a parte noi non ci ho visto altri musi bianchi, teh :-) Ovviamente, dopo pochi minuti di riconoscimento ho gridato l’altolà e mi sono girato tutta quanta la galleria due volte, perdendomi fra visi (la mia preferita era la signora qui sopra, che vendeva delle specie di cicorie di campo su un telo steso al suolo – ps. non c’è bisogno di estasiarvi sulla foto come ho fatto io, come direbbe mio marito ‘beh grazie che ne è venuta una buona, ne avrai fatto duecento’ – veramente erano solo una ventina :-)), e poi street food e bocconcini pronti tanti tanti tanti, e anche verdure e pesci e sottaceti (e umeboshi, e spine di salmone sfilettati – non credo servano per il brodo, credo vengano cucinati in modo da poi sgranocchiare la polpa rimasta attaccata alle lisca, devo verificare :-), insomma, alla fine la ‘aspetta un momento, faccio due foto, ci metto 5 minuti’ è diventato qualcosa come un’ora, però… son soddisfazioni :-)
Kobe europeo
Poi rientro verso il centro e qui un’altra sorpresina (il bello di partire senza guida ne mappa è che poi le cose le trovi per caso, hm :-) in questo angolo di centro che si chiama qualcosa tipo ‘la terrazza mediterranea’, ed è un intero gigantesco angolo dall’intonaco appositamente rovinato, completo di targhette pubblicitarie e stradali franco-francesi, insomma, vedendolo prima da lontano ci sembrava quasi un pezzo di liguria trapiantato in Giappone (chiramente, visto da vicino risulta fintissimo, eh vabbe :-). Detto ciò, è stato l’occasione per osservare quanto qui come altrove in Giappone valga la folie française (anche qui, pasticcierie e caffetterie a gogo), ma ciò che fra tutto mi ha più stupita è stata di trovare una pasticcieria chiamata Koln (Colonia – a due passi da casa mia :-) – immagino che a un giapponese in Europa farebbe lo stesso effetto, dopo essersi visto a duemila imitazioni e tremila errori ortografici in giapponese, trovarsi di colpo di fronte a qualcosa che gli ricordi il suo paesello (lambiccata questa, chissà se mi sono spiegata :-). In ogni caso, il cosmopolitismo non finisce affatto qui, non ci sono solo ricordi di Europa, il lato occidentale di Kobe contempla persino influenze statunitensi e molto altro ancora…
Kobe cinese
Già, perché poi a Kobe, come se non bastasse, c’è anche una chinatown :-) E la cosa buffa è che questa Cinatown ai miei occhi ha poco o nulla a che vedere con le zone cinesi di Parigi, Bruxelles (o Roma, hm), che sono tutto sommato delle piccole città in cui un sacco di gente (cinese, ndr) vive per davvero. Ecco, la Cinatown di Kobe, molto decorata, molto rossa, piena di lampioncini e ornamenti dorati, orlata all’infinito di bancarelle che vendono per lo più dolci al sesamo, pani ripieni cotti al vapore e ravioli tipo gyoza, assomiglia semmai piuttosto alla versione Disneyland delle altre Cinatown del mondo. Il che di per sé è buffo (ma anche un filo stucchevole, e sopratuto noio eravamo venuti per vedere il Giappone :-P) (sopra, uova cotte alla soia).
Kobe, il manzo
Con quella sua sottile venatura grassa caratteristica e a un centinaio di euri al chilo, in loco, il manzo di Kobe rimane probabilmente uno dei miti più grandi di tutti i carnivori della terra. Ribadisco, sono arrivata a Kobe in modo del tutto impreparato (tanto, casca a fagiuolo, stavo giusto cercando di trovare tutti i possibili motivi per dover tornare :-), e a parte un vago ‘ah si già poi c’è il manzo di Kobe’, non avevo nessun intenzione di nessun tipo. Il nostro spensierato e casuale incontro con i bovini di queste parti è capitato trovando una macelleria (più o meno all’altezza di Daimaru) con di fronte alla macelleria una luuuunga fila di persone in attesa di acquistare i fritti venduti da una finestrella della macelleria stessa. Siccome Roma ci ha insegnato che laddove c’è fila c’è qualcosa di interessante (solo che poi a Roma stessa questa regola non sempre vale, provate un po’ la pizza di baffetto… :-), abbiamo anche noi saggiamente aspettato il nostro turno (e ne approfitto per ringraziare qui ufficialmente la macelleria per aver pensato di apporre le traduzioni in inglese sulle etichette del cibo che vende altrimenti me ne starei ancora qui a chiedermi cosa cavolo ho mangiato), insomma: fritellina di carne macinata e korokkè con carne, niente mali (e molto croccanti :-)) A quel punto, e giusto per toglierci la curiosità, prima di tornarcene a Kyoto, abbiamo cenato a orario giapponese (le 18 e qualcosa) in un locale di yakiniku (è la versione giapponese del barbecue coreano, anzi è praticamente la stessa cosa: sul tavolo hai una griglietta scaldata dal gas, poi ti portano dei piatti di fettine di carne cruda, alcune marinate, degli intingoli, riso, insalata e qualche sottoaceto piccantino (kimchi – gli ho scoperti a Osaka qualche tempo fa, sono molto interessanti, e io adoooooroooooo la versione al cavolo cinese :-), insomma, abbiamo giocato agli apprendisti arrosticcieri con fettine di manzo di kobe e bachette per mezz’oretta e non potrei che consigliarvi di fare la stessa cosa semmai capiterete dalle parti di Kobe :-))
Pingback: L’anno del Cavolo [retrospettiva 2010] | il cavoletto di bruxelles()