Ormai, in quanto al soggiorno kyotese siamo proprio allo sprint finale (il primo che dice meno male me lo mangio :-)), il che nella pratica significa che sono stata colta all’improvviso dalla sindrome del turista impazzito, accumulando cose e esperienze che non ho manco più il tempo di postare causa ‘ma che ci sto a fare davanti al computer quando fuori ci sono ancora tante cose che non ho viste/fatte/assaggiate’?? Già, è un bel dilemma (ci toccherà tornare, ecco tutto :-)). Intanto, oggi piccolo rattrappage con questa cena di cui non potevo non parlare, pena farvi perdere un pezzettino del puzzle, pardon, quadro generale della cucina di questa piccola parte del mondo (ché, si intravvede lo spirito del piccolo filologo che c’è in me? :-))
Quindi, la cucina di Kyoto, che viene genericamente chiamata kyo-ryori è considerata su per giù la più rappresentativa e la più sofisticata fra le cucine del Giappone (beh, oddio, dipende… se lo chiedete a qualcuno di Kyoto o a qualcuno di, tanto per dire una città a caso, Tokyo, gli ultimi in genere non sono proprio del tutto daccordo su questa affermazione :-) e è in realtà il risultato di diverse cucine che nel tempo si sono più o meno combinate o influenzate a vicenda:
il yushoku ryori, che era la cucina dei nobili e dell’Imperatore, credo molto meno o nient’affatto praticata oggi, per lo meno non mi è capitato di inciamparci, magari da qualche parte c’è (appena scoperto che qualche ristorante a Kyoto la pratica ma ao, non posso mica sapere tutto :-)
il kaiseki ryori, che sarebbe una delle forme più eleganti di cucina, una successione di piattini e bocconcini, molto curati – e rigorosamente pensati – nell’apparenza, nei colori, forme e consistenze, ed è tutt’ora il massimo del raffinamento che si possa citare in materia di cucina classica giapponese. Un po’ come per la ceremonia del tè, da cui fra parentesi nasce, la cena kaiseki non è soltanto un esperienza gastronomica, è un’esperienza anche visiva, estetica, in una parole, un qualche cosa che non riguarda affatto il mero cibo (di kaiseki ryori avete già avuto duo piccoli assaggini, uno era il pranzo a base di tofu (in realtà sarebbe tofu ryori ma siamo lì), l’altro era il menu di pesce d Amenashibate), va comunque detto che la cucina kaiseki può raggiungere delle vette di eleganza e raffinatezza che noio mischini probabilmente mai vedremo :-)
il shojin ryori, la cucine vegana dei monaci buddisti, di cui ho già avuto occasione di parlare dopo il pranzo ad Arashiyama. Riepilogando: tutto vegetale, di stagione e di territorio, grande grandissimo uso di tofu, yuba, fu e alghe, una grande attenzione verso lo spreco e anche qui, una grandissima cura nel far variare le consistenze e i sapori (qui sarebbe anche da inserire un’incisa, ve la farò a breve in un altro post :-)
e infine, l’obanzai ryori, che sarebbe in qualche modo la cucina popolare locale, quella che è stata tramandata nelle case di generazione in generazione, una cucina non per le elite o per i monaci ma il risultato di ciò che i semplici cittadini trovavano da cucinare, basata per lo più sulle tipiche verdure della zona di Kyoto, che vengono chiamate le kyo yasai Sono una cinquantina (dicono) di verdure locali che si trovano soltanto nella zona di Kyoto – ecco, giusto l’altro giorno qui si parlava di varietà, eccoqua – alcune sono già scomparse, altre ancora ci sono, a volte portano addirittura il nome del tempio dove vengono coltivati. E un argomento sul quale spero di poter tornare a breve (eheh) intanto per citarne molto grossolanamente un paio: a Kyoto hanno delle zucche particolari a forma di, hum, pere giganti; poi delle caratteristiche carote rosse (bellissime :-), delle melanzane di ben 300g (suona assurdo ma in genere le melanzane giapponesi sono piccolissime :-) e altre cose fra cui una serie di radici, come i lunghissimi ‘ravanelli’ giganti che avevo visti al mercato di Nishiki. L’obanzai ryori è una cucina tutto sommato semplice, di stagione, del territorio, che si basa su molte verdure bollite (perché molte verdure tipiche di kyoto appartengono alla categoria delle radici) e stufati semplici. Al riguardo vi segnalo anche questo post di Harris Salat (il quale non per niente scrive bellissimi libri sul tema della cucina giapponese:-)
E quindi è la nostra cena Obanzai che volevo documentarvi oggi, comme dirait l’autre ‘senza nessun tipo di pretese’ (insomma, questi sono solo un paio di scatti fatti di sfuggito mentre ero a cena con amici, anzi, ve lo raccommando il saké abbinato alla macchina fotografica… hips! :-), detto questo, per completezza non me la sentivo proprio di non raccontarvi questo altro tassello di cucina locale quindi beccatevi pure queste fotine souvenir da vacanziera un po’ brilla, allez! :-))
Tutto ciò è quindi avvenuto un sabato sera, il primo sabato (e ultimo, fin qui) di relativo tepore serale, per noi la prima volta che attraversassimo la città buia in bici, per raggiungere l’appuntamento all’incrocio fra la sanjo e la kiyamachi, a due passi due dal ristorante Tousuira. Strada faccendo per la prima volta ho osservato i giapponesi in libera uscita del sabato sera in un quartiere fitto di ristorantini interessanti, tutti con delle mise molto originali e anche un filo eccentrici (nulla a che vedere però con i travestimenti osservabili a Tokyo), in ogni caso: molto diversi di come sono vestiti di giorno… :-) Raggiunto il locale, Menami si chiama, passiamo davanti al bancone che in quell’ora era affolato e sul quale, è una cosa tipica dei posti obanzai, erano alineate delle enormi ciotolone con le pietanze che quel giorno figuravano sul menu (quindi: se uno non capisce una cippa di ciò che c’è scritto può sempre indicare quel che desidera :-) saliamo al primo piano, slacciamo le scarpe che mettiamo ordinatamente su gli scaffalini di legno e sui calzini prendiamo possesso della nostra saletta privata a tatami. Dopodiché la nostra cicerona nazionale è stata incaricata di decriptare il menu e di ordinare (tanto noio siamo analfabeti). In cinque siamo riusciti a ordinare un buon tre quarti del menu, ordinando tanti piattini diversi che ci siamo divisi. Per iniziare (nelle fotine soto), un po’ di verdure, come dei broccoletti che non sono broccoletti (solo che tutti noi occidentali li abbiamo trovati molto simili :-) conditi con una leggerisisma salsina rilevata da una puntina di senape giapponese (che assomiglia un pochino al wasabi); poi una ciotolina con foglia di wasabi stufate (molto divertenti, insomma, il wasabi che solitamente si usa è una radice, la radice però ha anche delle foglie, che sanno, ma in modo più delicato, di wasabi, toh! :-), del mizuna stufato e un’altra straordinaria rivelazione: il bambu, che contrariamente a quel che credevo non cresce direttamente in scatolette, anzi, già da un po’ di giorni i pousses de bambou (come si chiamano in italiano?? germgli?? anche se sono enormi??) erano apparsi al mercato – in pratica vengono sbucciati, sbollentati e cucinati, qui tagliati a cubettini conditi con una specie di ”pesto” di erbe di cui non ricordo il nome (eh, il saké, vi dicevo… :-) davvero molto molto buoni! :-) Poi piccola tempura di verdure e anche una stupendissima insalata di verdure sbollentate croccantissime, un misto di asparagi, fave, mangetout, broccoli e uova sode dal tuorlo non del tutto rappreso, fresco, croccante, primaverile, fantastico :-))
Lato ‘secondi’ abbiamo assaggiato un po’ di sashimi (la noia qui del sashimi è che ci sono sempre dei pesci di cui non sappiamo cosa sono e che neanche i giapponesi sanno come tradurre, e infatti quelli a polpa bianca erano strepitosi ma vai a sapere cos’erano…. – Stupendo anche lo sgombro marinato all’aceto). Poi filetto di salmone grigliato façon teriyaki (ma sul carbone di legno, il che gli da un tutt’altro sapore :-) e un po’ di polpo in insalata. E poi due cose che tutto mi aspettavo ma non quello: del petto di anatra al pepe di sichuan, e un pezzetto di agnello, entrambi dalla cottura precisa, carne rosata e morbida, insomma, sto Giappone è davvero sempre pieno di sorprese :-) Infine una ciotolina di riso per segnare la fine del pasto (ormai mi ci sono rassegnata :-).
Lato bibite, sake caldo, umeshu on the rocks (vino di prugne con un sacco di ghiaccio, molto buono, cioè il vino di prugne è molto dolce con una puntina fresca acide, berlo con tanto ghiaccio permette di pasteggiarci, che al naturale sarebbe decisamente troppo dolce), e un paio di birre, più l’acqua, e via :-) Ultimo sguardo al tavolo dopo la battaglia, conto, e via direzione casa, sotto la pioggia apparsa a sorpresa… :-))