Leggo su Vie del gusto di aprile (se l’avete vedete anche pagina 149…:-) una notizietta che si aggancia perfettamente a una precedente conversazione sui diritti d’autore applicati in cucina… L’articolo riguarda il ristorante Birilli di Torino (proprietà di Chiambretti) e un concetto insieme folle e demoniaco: il falso d’autore.
… il menu Falsi d’autore. Con 35 euro sono a disposizione quattro piatti firmati: Soffiata di cavolfiori all’acciuga leggera di Alfonso Iaccarino, Ravioli verdi di faraona di Nadia Santini, Cotes et filet de chevreuil d’Alsace di Alain ducasse, Tortino di ricotta e amaretti di Mombaruzzo di Luido Caputo: un’altalena di emozioni che il giovane chef di casa Ugo Incerti prepara senza far rimpiangere i blasonati colleghi. Un gioco dove è possibile sperimentare, senza far troppi chilometri, piatti altrimenti difficili da provare.
E questo sì che getta una tutt’altra luce sulle rivendicazioni di paternità di Beck & co… Detto ciò, confesso, trovo l’idea geniale (e quasi mi meraviglio che nessuno ci avesse pensato prima). Insomma, andare da Birilli a questo punto sarebbe un po’ come comprarsi la borsa Prada contrafatta: si sa che l’originale è più preziosa ma intanto l’imitazione rende l’idea. E perché non dovrebbe essere la stessa cosa in cucina?
Certo, lo spavento di alcuni cuochi diventa più comprensibile: vi dirò che in un primo tempo pensavo a quelle ricette che girano, rivisitate a destra e a manca, mai avrei immaginato i vucomprà del piattino firmato Iaccarino. Ma il panico mi pare superfluo: proprio come per borse e rolex vari, spesso e volontieri chi compra il falso non si sarebbe comunque potuto permettere l’originale, contribuendo nel contempo ad alimentare il mito del vero.
E quindi, perché no? Certo, un piatto vissaniano in mezzo al patchwork del menu dei falsi avrà comunque poco a che vedere con l’emozione del peregrinaggio a Baschi, ma a chi non piacerebbe provare, chessò, qualche spumosa creazione di Ferran Adria senza doversi organizzare l’impegnativo viaggio fino a Rosas?? Così, giusto per farsi una mezza idea? Male che vada si rimane incantati e si decide di andarci per davvero, a Rosas…
accidenti! ci addentriamo in un territorio veramente complesso… il problema del falso d’autore…
conosco un tipo che asserisce di aver acquistato una borsa di gucci da un vucomprà e che poi si è recato in via condotti e ha preteso di cambiarla con un altro articolo. gli è andata bene!
è talmente eclatante da sembrare una leggenda urbana…
di fatto l’idea del ristorante è divertente e in attesa di una qualche legislazione sul caso… non credo sia nemmeno tenuto a pagare il copy-right…
ma ci sono tanti altri aspetti da tenere in considerazione…
se non ho mai “provato” l’originale… come faccio a valutare la replica?
se la replica mi soddisfa pienamente… m interesserà mai fare un confronto con l’originale?
comunque… complimenti a chiambretti… se ne parlerà di questa cosa…
geniale veramente geniale
vero vero…Chi compra il falso non potrebbe permettersi l’autentico ma alimenta il mito, che piaccia o meno.
Fa riflettere che alcuni grandi chef, e spero non tutti, fan mettere nero su bianco ad ogni interno cucina l’impegno a non rivelare i segreti delle supergalattiche ricette della casa.Già mi par di sentirli…Niente ache vedere con l’originale!!!