La pasta

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Quello della pasta è un bel problema. Sopratutto se italiana non sei e che lì da dove vieni te si ritiene che la differenza fra al dente e stracotto sia solo un’opinione. D’altra parte, da noi, gens Belgica, nessuno si sconvolgerebbe davanti a un’insalata di pasta condita con chicchi di mais in scatola, maionnese e qualunque altra cosa che di insulsa ci si possa buttare. Insomma, in queste condizioni, per capire di pasta, de La Pasta, diciamo che una belga, di base, è messa piuttosto male.

Così, per non morire del tutto idiota, sono andata a vedere un pastificio. A Gragnano, storico luogo di produzione (sono 500 anni che la fanno, in fondo, in tutto questo tempo, qualcosa l’avranno pure capita, no?). In realtà, il perché di Gragnano pare stia, un po’ come per la mitica pizza napoletana, nella qualità dell’acqua (anche se, ho come la sensazione che ormai le nappe freatiche sono messe come son messe un po’ dovunque), ma anche più prosaicamente nel fatto che era un luogo dove si produceva tanto grano e facilmente accessibile, sempre per via dell’acqua appunto. Insomma, sono andata a sbirciare all’interno di una vera fabbrica, quella della pasta Garofalo nell’occorenza.

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Diciamolo subito, ogni rimasuglio di immaginario melense non può che essere severamente deluso: non ci sono li dentro sterminati campi di grano, né adetti dall’aria narcotizzata che pretendono di conoscere ogni spiga manco fossero figli loro (il ché è piuttosto rassicurante). Niente cascate di pesto né eserciti di nani che piegano uno per uno le lumachine a mano (eh beh questo è l’imprinting pubblicitario cinnematografico che alla fine uno ha, e non vi sto neanche a dire cosa mi aspetterei di trovare dentro un biscottificio :-). E invece un luogo caldo, molto caldo, saturo di un intenso odore di grano che ti morde il viso non appena entri, agghindato con grembiulone bianco e cuffietta abbinata… :-)

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Quindi, la cosa, cioè, lo stabilimento, si presenta come un lungo corridoio all’inizio del quale la pasta viene formata, trafilata (bella anche la stanza dove vengono conservate le trafile, sembra una biblioteca, solo che al posto dei nomi degli autori ci sono etichettine con i nomi dei formati della pasta), dopodiché passa in una serie di ambienti chiusi più o meno caldi che permettono di completare il processo di essicazione (la quale in questo caso quindi non è naturale). Alla fine di questo enorme corridoio (che racchiude 7 linee di produzione parallele) la pasta viene messa in confezioni, le confezioni in scatole, le scatole in palette e via…

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Fin qui tutto abbastanza normale, la differenza semmai, fra una pasta e l’altra, così mi hanno spiegato, se ne sta nella qualità della semola: cioè, più questa è ricca di glutine (che sarebbe la proteina del grano duro che non si scioglie in acqua) e meglio viene la pasta, dato che è la glutine che la tiene insieme e l’impedisce, per dirla con un’iperbole, di spappollarsi in cottura. E appunto, il tenore in glutine della pasta che si fa qui è di 14% mentre la media di glutine nelle aaaltreeeee paste è del 12%. E da lì, dal controllo maniacale su parametri del genere, si capisce anche perché qualcuno sostiene che in fondo la pasta industriale potrebbe addirittura essere migliore rispetto a quella artigianale…
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Ma il piu divertente viene dopo: perché, per dire, da garofalo non si produce solo la garofalo come la conosciamo noi, con i suoi numeri della smorfia sulla confezione. Naaa… in realtà di paste, nomi e confezioni, ce ne sono un’infinità, diverse per ogni parte del mondo. Le destinazioni più ovvie sono gli Stati Uniti, il Giappone o l’Inghilterra, tutti del resto con packaging curati anzi belli, anzì forse addirittura più belli di quelli convenzionali che si vedono in giro nei supermarket nostrani (e io questa cosa non me l’aspettavo affatto, ma il 97% o giù di lì di ciò che si produce qui se ne va all’estero). Ma poi l’occhio ti cade su un nastro che trasporta dei pacchettini rosso e blu, di spaghettini Santa Maria dall’aspetto decisamente retro…

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E così uno chiede di ché si tratta. Ebbene, si tratta della paste che va in Africa (rigorosamente in confezioncine di 250g e prodotta a base di sfarinato, che costa meno). Anzi, la pasta storica per l’Africa si chiama Santa Lucia, dal nome della donna di servizi somala che una volta lavorava a casa della familia garofalo. Arrivata all’età pensionabile, chiese, al posto della buonuscita, un carico di pasta da portarsi dietro, in Somalia. Ciò che segui fu un successo di quelli clamorosi e così, tutt’ora, la stessa pasta viene ancora consumata lì, perfettamente integrata nelle abitudini alimentari africane (viene spezzettata, cotta e servita insieme a verdure e quant’altro, il tutto in un grande piatto centrale nel quale tutti si servono con le mani), anzi, pare che a un certo punto funzionava addirittura da moneta di scambio… (non so voi ma io questa storia qui la trovo fantastica!)

29 Commenti

  • giancarlo ha detto:

    mi sa che di pasta non ci capisce niente è pubblicizza solo la garofalo.
    si informi sulle caratteristiche e su come si fa la pasta da un pastaio vero se vuole la porto io in un pastificio no dove si fa la pasta a 130 gradi ed è più buona di quella artigianale..

  • steve munga ha detto:

    we are a kenyan company based in nairobi and we are intrested in getting to know the contacts of the company that produces santa lucia 400 grams spaghetti. pls help us with the email address as we are intrested in doing bussiness with them.

    yours faithfully,
    steve munga

  • brii ha detto:

    siiiigriiiiiid!!!
    a me è piaciuto questo post! tantissimo!!
    ho imparato un paio di cose che non sapevo.
    grazie. :)
    bacioniiii

  • Luisella ha detto:

    Io questo post non lo avrei fatto.

  • Marici ha detto:

    Bella sta storia!
    visto che si parla di pasta,quella di serie A, io vi consiglio la pasta secca FIORE DI PUGLIA,una bonta’ made in Puglia,anche li sanno come si fanno cose buone e genuine..
    Buon appetito

  • Marici ha detto:

    Bella sta storia!
    sa un po’ di trovata pubblicitaria…..cmq visto che si parla di pasta,quella di serie A, io vi consiglio la pasta secca FIORE DI PUGLIA,una bonta’ made in Puglia,anche li sanno come si fanno cose buone e genuine..
    Buon appetito

  • Pasta Garofalo ha detto:

    Ciao!
    Ho letto il post e visto che sei un intenditore della grandiosa Pasta Garofalo, sono sicuro che già saprai che Pasta Garofalo ha firmato col proprio brand il prossimo film di Sergio Rubini, Colpo d’occhio. Per questo, non indugio oltre e ti invito a visitare il nuovo spazio web aperto direttamente sul sito di Pasta Garofalo. Questo è il link: http://www.pastagarofalo.it/colpo.html

    Saluti e buone mangiate!!!

  • sium kefela ha detto:

    buon giorno

    sto cercando un prodotto di pasta per il mercato africano,vorrei che mi faceste avere il vostro listino prezzi,in attesa di un vs ricontro porgo i mie distinti saluti.

    sium kefela
    tel.3335889751

  • mostoemiele ha detto:

    Sono concorde con filippo, la battaglia che sto facendo io e’ per la salvaguardia della biodiversita’….
    Potete visitare spassionatamente il mio negozio
    per capire un po’ di piu’

    In poche parole i piccoli produttori , quelli che producono con orgoglio e lealta’, di questo passo andranno a scomparire…. e allora sara’ un bel cas…!! Stiamo allestendo un sito dedicato alla problematica
    pubblicheremo le news in home page del sito http://www.mostoemiele.it

  • Antony ha detto:

    Vabbuò,sono di Napoli e leggo questo blog perchè mi aiuta nella mia passione:cucinare per mia moglie e mio figlio.Questo è uno dei miei piaceri più grandi.Mi complimeto con l’autrice,ma sta volta non concordo proprio.La Garofalo è,a mio avviso,tra le paste più scadenti.Qualcuno prima di me ha nominato la Setaro,e concordo pienamente.La garofalo viene essiccata in forni,a ottanta gradi.E’ precotta, insomma.Per una buona pasta occorrono almeno due giorni di essiccazione lenta.Io non sprecherei mai un astice con la Garofalo.Userei sempre un mezzo pacchero Setaro.Per altri formati,soprattutto le pennette,userei ed uso la Latini.

  • ferrigno ha detto:

    meno male :)))) (scherzo eh?) ;)

  • Tommaso Farina ha detto:

    Per non dire di Benedetto Cavalieri.

  • fiorellina ha detto:

    bella sta storia della colf somala, meno edificante che si mandi laggiù una qualità inferiore come gli sfarinati…comunque, a proposito di paste buone, conosci la pasta pugliese? Laggiù c’è un grado duro fantastico. Ti consiglio Riscossa e Granoro, credo che non abbiano nulla a che invidiare rispetto a quelle napoletane…

  • Tommaso Farina ha detto:

    Pensa che Setaro nemmeno scrive il tempo di cottura sulle confezioni. Ci si regola con la bocca.

  • Sigrid ha detto:

    @simona: entrambe vanno in africa (mo non ricordo i paesi di destinazione precisi), ma la santa lucia è la prima a esserc andata :-)

    @ferrigno: non credo sia la stessa, girando per la rete avevo trovato un’altra pasta ‘santa lucia’ prodotta a ragusa (quindi direi che la tua è probabilmente quella lì)… la santa lucia di cui parlo io ha delle scrittine in non so che lingua sopra (arabo??) e cmq, c’è anche scritta che è di gragnano… :-)

  • simona ha detto:

    scusate, sarà il caldo ma io non ho capito se la pasta africana è la santa maria, come la caravella (nella foto) o la santa lucia…comunque concordo BONI I RADIATORI

  • ferrigno ha detto:

    La Santa Lucia è una pasta destinata all’africa?!?! Mioddìo, cavoletto, non puoi capire la portata dell’informazione che mi hai appena dato.

    Sono siciliano. Saprai come i siciliani vengono a volte ironicamente chiamati dagli altri connazionali? Sì, a parte “terùn”. Ebbene, ci chiamano africani. Embe’? dirai.
    Embe’, nella putìa sotto casa mia, ci andavo di persona a comprare gli spaghetti “Santa Lucia”!! :)))

  • Manu ha detto:

    Concordo con w…(spero nell’ ironia!) io non contesto assolutamente la storia dalla signora Lucia (ovviamente non ne so nulla…) ma l’ immagine stereotipata dell’ Africa che ritorna non solo da te ma da tutto quello che ci circonda…detto questo il lavoro dell’ antropologo é spesso scomodo e noioso e lungi da me star qui a decostruire stereotipi…fortunatamente ti visito per piacere e non come tanti altri per star qui a trovare il pelo nell’uovo.
    Per risponderti minimizzando molto direi solo che tutti gli africani in cerchio a mangiar con le mani dalla ciotola si vedono più o meno solo come “famiglia ospitante/escursione villaggio turismo responsabile” (e ormai non solo, ahimé) ed ancora più difficilmente dove arrivano i nostri generosissimi pacchi viveri e progetti di sviluppo e cooperazione…cmq ribadisco che non volevo assolutamente far polemica…chiamala pure deformazione professionale…se ti interessa l’ argomento magari posso consigliarti qualche lettura!
    Ma ora stop alla pesantezza, che già fa caldo abbastanza!!!

  • Marika ha detto:

    E pensare che io il primo formato della Garofalo che ho assagiato nel nome tutto aveva a che fare tranne che con la pasta: i radiatori.
    Una specie di fusilli ma più cicciotti e che, manco a dirlo, trattengono il sugo che è una meraviglia … a prova di bomba con il succhi “Corposi”.
    Comunque ‘sto fatto della pasta all’estero nn è nuova. Ho trovato più Barilla (bleaahhh) a Madrid che al GS sottocasa!
    marika

  • Rachele ha detto:

    Grazie per il bel post, posso aggiungere il nome di un altro pastificio in zona – Torre Annunziata (NA), il pastificio Setaro…Produce in scala minore ma visitarlo e’ sempre un grande piacere, e alla fine del giro si puo’ comprare la pasta anche a scatoloni! (Bonus: la bella villa Romana di Oplonti e’ praticamente di fronte)

  • w ha detto:

    pubblicità progresso!

  • Sigrid ha detto:

    @manu: eh beh no, a me il no comment non basta! :-) Cioè, certo, le belle storie delle volte sono semplificate (poi magari nel passaggio fra loro e me qualche ulteriore dettaglio si è perso), comunque, spiegami!

  • barbara ha detto:

    buona la pasta garofalo!!! :P
    interessante la storia della pasta in africa..

  • Filippo ha detto:

    Sigrid,
    che bella visita molto istruttiva.
    spesso bisognerebbe visitare le nostre industrie per capire i procedimenti di produzione a livello industriale per capire e vedere le differenze che ci sono tra il fai da te casalingo e la produzione di massa.
    Un bacione
    Ciao Ciao
    Filippovanni@libero.it

  • Manu ha detto:

    fulminata già fui! ETNOANTROPOLOGA!

  • golosastro ha detto:

    beh, una buona giornata si valuta anche dal primo dialogo… o dalla prima lettura…
    Che bella esplorazione!!!
    Sorrido per il parallelo cuffietta bianca… e vestagliona (la mia era tale)… una decina di giorni fa… luogo caldo, ma tutto biancoooo!
    Beh, moooolto buona questa prima lettura! ;-)

  • Manu ha detto:

    molto belle le foto ed interessantissima la gita..ma per quanto riguarda la storiella degli africani tutti intorno a un ciotolone a mangiar con le mani pasta italiana e verdure di chissàdove, da “buona” etnoatropologa e aficionada del tuo blog..ci vuole un bel no comment!
    Piuttosto, oggi tento cheesecake alle pesche!

  • graziella ha detto:

    Che bel post Sigrid!!! e, al solito, le foto sono superbe!! Comunque io trovo che la pasta Garofalo, in quanto prodotto da GDO, sia ottima e regga benissimo il confronto con altre paste più nobili, care e di difficile reperimento. Ciao, graz

  • Loste ha detto:

    Hai capito, cara Signorina, che ti combina una “badante” di altri tempi. Si proprio una bella storia.
    Loste

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