I biscotti al burro di zia Jane

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Oggi forse per la prima volta in dieci anni (perché ebbene si, zitto zitto, questo blog ha compiuto dieci anni, quasi quasi che spillo quel numero sul header, alla maniera dei salumieri e pasticcieri della mia infanzia, che ornavano la busta del pane o la carta della bistecca con allori dorati incorniciando il numero di anni che aveva compiuto la loro attività… :), dicevo: questo è credo se non il primo uno dei pochissimi post a quattro mani. E iniziato tutto con una domanda molto semplice, semplice quanto ‘Mi faresti dei biscotti’? Seguirono ricette, prove e sopratutto storie e testi di contorno scambiati, a mo’ di ping pong, da una parte all’altra dell’Atlantico. E per me che sono sempre golosa di storie di contorno, stavolta mi sono vista arrivare nientedimeno di uno dei mostri sacri della letteratura anglosassone (ottimo motivo anche per rispolverare un po’ i classici, anche perché io fuori dalla letteratura francofona sono proprio una frana). Questa quindi la genesi degli shortbreads per Jane Austen. Alla tastiera e immersa nella prosa Regency, una signorina riccioluta che legge come respira di nome Ophelinha, sarà lei a raccontarvi qualcosa in più sul contesto letterario nel quale questi biscotti trovano la loro collocazione, mentre al forno e alla macchina foto c’è la solita sottoscritta. Enjoy! :)

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È difficile non amare Jane Austen, l’immortale autrice di capolavori come Orgoglio e Pregiudizio, Ragione e sentimento, Emma. I suoi sei romanzi sono annoverati tra i classici della letteratura mondiale, letti e amati da generazioni e generazioni, oggetto di innumerevoli riadattamenti. Le sue eroine sconvolgono il concetto di fanciulla passiva, che aspira ad essere salvata: sono indipendenti, hanno le loro opinioni e se le tengono ben strette, leggono tanto e ricamano poco e, soprattutto, sono capaci di prendere in giro gli altri e se stesse, con grazia, trasformando la tragedia di vivere in una quotidiana commedia, piena di piccoli e grandi eventi filtrati attraverso l’occhio acuto della zia Jane.

Nonostante il suo universo sia essenzialmente quello domestico, zia Jane non indulge eccessivamente in descrizioni, ma spesso informa il lettore del menù del giorno in casa Bennet, o casa Woodhouse (ad esempio, in Emma, il padre, super ipocondriaco, vieta alla figlia di mangiare torte e prescrive a tutti una dieta ferrea a base di uova sode e porridge).
Il momento del tè è centrale nel quotidiano dei personaggi austeniani: in Ragione e Sentimento, Elinor si accorge che Edward (di cui è innamorata) porta un anello con una ciocca di capelli osservandolo portare alle labbra la tazza di tè; inizia così a sospettare (giustamente) che ci sia un’altra donna nella sua vita. In Orgoglio e pregiudizio, l’onore più grande che Mr Collins, il sicofante cugino delle sorelle Bennet, possa immaginarsi per l’indomabile Lizzie è essere invitata per il tè dalla di lui protettrice, lady Catherine de Bourgh.
Il tè era un rito, una cerimonia, un’istituzione; era un momento di riunione sia per la famiglia che per la servitù, l’accoglienza riservata ad amici, vicini e parenti durante l’ora della visite, l’occasione adatta per celebrare il fidanzamento di una figlia, una buona notizia, una lettera a lungo aspettata, l’arrivo di un giovane prestante e benestante trasferitosi nel vicinato – cosa che odorava di novità, di eccitazione, di balli futuri, magari di corteggiamenti e chissà, di matrimoni.
Esisteva una differenza tra high tea (un pranzo completo servito col tè, che comprendeva solitamente pane, carne, contorni e dolci) e il low tea ( servito alle quattro in punto con l’accompagnamento di tramezzini, biscotti, scones e i deliziosi shortbread proposti oggi da Sigrid).

Il caso ha voluto che Martha Lloyd, intima amica di Jane e della sorella Cassandra, fosse appassionata di cucina e avesse deciso di raccogliere e conservare tutte quelle sperimentate a Chawton, dove la Austen ha vissuto per un periodo. Queste ricette sono poi state riprese nel The Jane Austen Cookbook (Maggie Black and Deirdre Le Faye, British Museum Press, 1995), promuovendo quel connubio tra letteratura e cucina che io trovo poetico e bellissimo, perché permette di dare un’occhiata alla vita quotidiana di grandi artisti, ricordando ai lettori che dietro ogni verso, dietro ogni pagina c’è anche e soprattutto la persona che ha riversato tanto di sé nelle poesie, nelle parole, nelle storie che ci racconta.
Potete pensare a un modo migliore di immergervi nella lettura di Jane Austen che un low tea con l’accompagnamento di un classicissimo shortbread?

(Ophelinha)

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(Cavoletto)

La ricetta raccolta da Martha Lloyd era in realtà molto semplice, quasi troppo (di quei tempi erano fra l’altro erano pure molto concisi nel dirti le ricette, giusto oggi ne ho letto una dello stesso periodo, per alcuni biscotti, che recita: Take twenty-four eggs, three pounds of flour, and three pounds of lump sugar, which will make forty eight finger biscuits. Fine. Procedimento: non pervenuto…?!), e prevede in sostanza burro (o lardo, a scelta!) e farina, il tutto impastato con poca acqua. Non proprio la cosa più eccitante al mondo.

Di questi tempi gli shortbread sono decisamente più ricchi: la quantità di burro è schizzata alle stelle (me è proprio questo il bello, a mio avviso, degli shortbreads), ci va anche un po’ di zucchero, un’idea di vaniglia e un pizzico di sale. E poi siamo inciampati in una versione che mi ha subito stuzzicata: gli shortbread al brown butter. Anzi veramente ultimamente mi è capitato di vedere un-po’-di-tutto condito al brown butter, dagli gnocchi alle torte passando per i pancakes, pare che di questi tempi tutto sia più buono se condito di burro andato oltre lo stato biondo. A essere sincera, ero incuriosita ma anche un po’ scettica. Sbagliavo: il brown butter – che ha un profumo divino – è in sostanza lo stesso beurre noisette che si usa anche per i financiers, si fa sciogliere il burro e lo si ‘cuoce’ mescolandolo, fino a quando inizia a diventare di un profondo dorato (quello che succede in sostanza è che le proteine, la caseina, cioè la parte solida del burro, si separa dai grassi e viene tostata, acquisendo un tipico colore scuro, e un sapore pronunciato, c’è chi dice di nocciola, a me ricorda oltretutto il caramello – al burro, ovviamente – bretone). Insomma, il beurre noisette di per sé è un ottimi modo per dare alla ricetta nel suo insieme maggiore profondità e complessità (e quindi no wonder che si ritrova un po’ dappertutto ultimamente). In questa ricetta poi si usa metà brown butter e metà burro fresco, che è davvero un’ottima idea pensando a una situazione eterea e raffinata quanto un tea con Jane. Un biscottino tutto brown butter avrebbe avuto un sapore troppo deciso, quasi violento, mentre questa via di mezzo è perfetta: interpella, intriga, ma rimane discreto, piacevole, stuzzicante, il perfetto compagno per un tè pomeridiano versato in fragili scodelle di porcellana, mentre entrambi fanno da delicato sottofondo per parole e sentimenti che immancabilmente venivano versati insieme al tè…
 
 
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Brown Butter Shortbreads for Aunt Jane

farina 240g
burro 220g
zucchero semolato 100g
vaniglia, estratto naturale mezzo cucchiaino
sale una presa

1. Far sciogliere 110g di burro in un pentolino di color chiaro (se è nero tipo antiaderente dentro non vedrete bene la sfumatura di brown e rischiate di bruciare il burro), e lasciar cuocere a fuoco medio, mescolando gentilmente, per circa 5-8 minuti. dopo una iniziale fase spumeggiante il burro dovrebbe man mano ambrarsi, vedrete delle particole precipitate scurirsi. Quando il burro è color nocciola, spegnere e versare tutto quanto (incluse le particelle scure) in una ciotola. Lasciar raffreddare completamente, trasferire al freso e lasciar rapprendere.

2. Nel mixer, sbattere lo zucchero insieme al burro fresco e al brown butter appena morbidi, poi aggiungere la vaniglia, e sbattere fino a ottenere una consistenza cremosa. Aggiungere la farina e il sale, incorporarli con una spatola, poi avvolgere l’impasto con della pellicola, formare un disco di 2cm di spessore, e lasciar riposare al fresco per una notte.

3. Riprendere l’impasto e stenderlo al mattarello, su della carta forno leggermente infarinata, a circa 4mm di spessore. Ritagliare i biscottini, deporli su una teglia da forno rivestita di silpat o di carta forno, e lasciarli riposare per 15 minuti al fresco prima di infornarli a 180°C per 10 minuti (si devono appena dorare i bordi dei biscotti, non di più). Lasciar raffreddare completamente, conservare nella vostra scatola di latta vintage preferita e servire con del tè inglese e un buon romanzo ottocentesco
 
 

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17 Commenti

  • Alessandra Dani ha detto:

    Ho provato a farli… Sono venuti buonissimi ma bruttarelli, l’impasto era troppo asciutto, si sbriciolava e non sono riuscita a stenderlo come si deve… Dove ho sbagliato cara Sigrid? Help me plz ;-) Un abbraccio!

  • Bea ha detto:

    Che meraviglia questo post!!!
    Jane Austen e i suoi biscotti!
    Complimenti a tutte e due!!!
    Ottimo post!

  • Paola Blanc ha detto:

    In effetti questi biscotti sono perfetti per leggere i libri della Austen. Auguri al blog, che ha l’età di mia figlia
    Paola
    http://www.lechicchedipaola.it/

  • tortellini & co ha detto:

    10 anni! Volati! Ti seguo da molti anni e quando un paio di anni fa ho deciso di ‘girare pagina’… tu mi hai ispirata. Ad un certo punto incontro due pazze che, come me, amano alla follia il cibo e tutte le storie che racconta se sai ascoltare. E così un’idea è diventata realtà in un blog. Certo le nostre immagini e il contenitore sono più ruspanti rispetto a quello che fai tu. Ma le tue parole, le immagini, le ricette e i libri sono sempre pieni di belle emozioni che condividi con la comunità di cavoletti che hai creato. E il riferimento a Jane Austen? Solo tu… cercherò anche questo libro! Buon lavoro :))

  • Celine Branton ha detto:

    Buongiorno Sig. e Sig.ra.
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  • Giulia Scarpaleggia ha detto:

    Bellissima presentazione! Ho usato il brown butter solo una volta per una torta trovata su un sito americano, e sono stata davvero colpita dal sapore profondo, anche per me di caramello. Amo gli shortbread, questi sembrano davvero l’abbinamento perfetto con il tè inglese.

  • manuela ha detto:

    Scusa Sigrid, non ho capito bene una cosa: il brown-butter è una qualità di burro diverso oltre ad essere più cotto?

  • AnnaGreco ha detto:

    Jane Austen è sempre una buona idea… che bontà per gola e spirito! *Anna*

  • fairylizzie ha detto:

    Che meraviglia :) quando li preparerò li farò in onore di zia Jane allora (che non è solo la mia scrittrice preferita, ma è più uno spirito guida).

  • Valeria Necchio ha detto:

    P.s.mannaggia a te che mi hai fatto prendere il libro di ricette di Jane Austen! :))

  • Valeria Necchio ha detto:

    Not for the faints of heart questi biscotti! Giusto per una Elizabeth di Pride & Prejudice, certo non per una delle sorelle :) Mi piace molto questo twist letterario. Episodio n.2? xx

  • francescabianca ha detto:

    24 uova per 48 biscotti? cioè mezzo uovo in ogni biscotto? ammazza :-D

  • francescabianca ha detto:

    24 uova per 48 biscotti? cioè mezzo uovo in ogni biscotto? ammazza :-D

  • Simoingiro ha detto:

    Twenty four eggs? Però!!!

  • Ophelinha ha detto:

    (non vedo l’ora di assaggiarli dal vivo, questi shortbread :)
    Grazie di aver ospitato me e zia Jane, e buon tè coi shortbread a tutte

  • maidannutengaracasteddu ha detto:

    Nooh, non avevo idea che esistesse un libro di cucina ispirato a Jane Austen…la mia janeausten mania ha trovato un nuovo filone…chissà se esiste in e-book…..il procedimento degli shortbreads ricorda tanto le ciambelline allo strutto di mia nonna che però al posto della vaniglia aggiungeva una spezia chiamata “la saporita” (credo si tratti di una sorta di all spice)…il profumo della mia gioventù: spezie e carta stampata…come le madeleine di proust

  • In un solo post mi hai regalato una ricetta che non posso non riprovare a casa e un libro in più da curiosare: grazie!

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