Le ciné-club du dimanche soir:
Terra Madre

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Tanto per cambiare un po’ dalle trasmissioni giapponesi (sempre piene di recensioni ai ristoranti fra l’altro ma in uno stile molto più, come dire, manga? di quanto – molto noiosamente – si faccia dalle nostre parti :-) e dallo streaming che ci fa faceva sentire, per lo meno dal punto di vista dell’attualità, per lo meno fino a poco fa, come se non avessimo mai lasciato l’Italia (facciamo che non mi pronuncio sul fatto che sia un bene o meno, grmpf) ho guardato l’altra sera il dvd del film Terra Madre. Ed è stato il classico caso del film che nei giorni seguenti ti fa pensare mille cose più o meno periferiche, in modo passionale e a volte confuso. E forse, trattandosi di tematiche che riguardano tutti nessuno escluso, vale la pena provare a riassumerne qualcosina qui, magari per ragionarci anche in un modo ‘collettivo’.

Un tentativo di riassunto

Per prima e più importante cosa, questo film realizzato da Ermanno Olmi & co (gli allievi dela sua scuola bolognese, anzi più gli allievi del firmatario stesso del film, se ho ben capito) mi ha spiegato in modo piuttosto sintetico – complice dei tagli e citazioni a effetto – cosa rappresenti, esattamente, Terra Madre. Se volete ve lo rispiego qui, malamente, con le parole mie: Terra Madre preconizza un ritorno alla natura (vs industria e globalizzazione), alla varietà (vs. prodotti standardizzati), al contatto con la terra, anzi, la concreta riapropriazione della terra (che in parte passa anche tramite la riappropriazione dei semi, che è un tema piuttosto interessante*) afinché si possa tornare a vivere e alimentarsi in un modo etico, ecologicamente responsabile, giusto per l’umano e per il pianeta, e otenendo dei cibi ‘autentici’ capaci di rispondere a quella fame ontologica che in effeti ciò che è industriale difficilmente riesca a placere. Insomma, tutte cose molto sensate e naturali che nell’ultimo secolo si sono man mano perse di vista e che di certo potrebbero fare solo bene a tutti, a noi occidentali snaturati messi per 78 minuti davanti a certe assurdità da noi create (o silenziosamente ignorate, che è la stessa cosa) e a terzo e quarto mondo più drammaticamente privati dalle funzioni elementari della terra, che è o dovrebbe essere, in principio, madre perché nutre tutti (in fondo, siamo di nuovo a quella cosa sensatissima di Père Pire che sosteneva che piuttosto che di dare il pesce all’uomo del terzo mondo, era molto meglio insegnargli a pescare – è una metafora, ovviamente :-). Una citazione su tutte, quella di Vandana Shiva che che dice in sostanza che i bambini malnutriti del terzo mondo e quelli obesi del mondo ricco sono due sintomi dello stesso identico meccanismo (marcio). Pensarci fa venire il vertiggine, insieme all’intima convinzione che in fondo abbia pensato e detto qualcosa di terribilmente giusto. E un esempio su tutti: quella della rete degli studenti statunitensi che si sono messi a coltivare a scuola le verdure per la loro mensa (e di esempi ce ne sono tanti tanti altri ma questo qui, per noi, l’ho trovato particolamente stimolante :-).

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* il tema del ‘mercato dei semi’, fa un po’ da filo rosso a tutto il film, e appunto è una questione interessantissima alla quale non avevo nemmeno mai veramente pensato: per quanto ne ho capito, le industrie del mondo tendono a standardizzare i semi – in sostanza si perde in varietà, altro concetto interessante – e a organizzarli in mercato. Però visto che quei semi manipolati (contrariamente ai semi che si usano da quando il mondo è mondo) durano in genere un anno soltanto sono poi i semi – standard – stessi a obbligare i contadini a rinunciare alla varietà locale e a arrovigliarsi in un sistema di spese annue obbligatorie, che non ha nulla di naturale, e che, quando si vive nel terzo mondo, diventa anche una forma di sfruttamente economico piuttosto pesante, insomma, tutto ciò ha tutta l’aria di essere una forzatura eco-economica e il fatto che questo film lo sottolinei è importante, ci permette per lo meno di carpire una briciola di ‘come funziona il mondo’, e ci obbliga a pensare – e di ‘sti tempi poi l’attività del pensare è di per sé qualcosa di prezioso e importante di cui a tratti perdiamo un po’ l’abitudine, mi sembra (anche se magari dall’altro canto le manipolazioni potrebbero permettere raccolte più sostanziosa, o piante più resistenti, non ho idea, mera ipotesi mia….?)

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La seconda parte del film racconta, in sostanza, le stesse cose, ma con mezzi diversi. Diciamo che la prima parte ci risulta più istituzionale e più eclettica dal punto di vista dello stile (anzi, diciamolo pure, è proprio un troppo patchwork di immagini di congresso, eventi europei, immagini di orizzonti lontani e paesaggio industriali nostrani), la seconda parte va più verso il documentario poetico, esaltando l’importanza dell’armonia naturale che è, in sostanza, un dolce ritrovo dell’uomo, stranamente dimenticato, in un modo più bucolico e diretto. Si tratta di due reportage sul campo, nel senso letterale, il primo racconta la vita di Ernesto, un contadino veneto vissuto per 40 anni in totale autarsi, il secondo è un lungo viaggio stanziale in un orto altoadesino, un silenzioso attraversare le stagioni in compagnia di un signore che semina, attende, verifica la crescita delle sue piante ecc (anzi, silenzioso non è, tutt’altro: nessuna voce umana ma l’amplificazione di suoi e rumori ‘della natura’, quelli li che conosciamo tutti e che fungono come dei balsami, quei rumori che ci fanno immediatamente stare bene). Sono in fondo due modi esacerbati, forse anche troppo ma ci tornerò in seguito, di far intravvedere una alternativa, che parlano con la forza e l’immediatezza proprie a ciò che è intimamente naturale.

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Fin qui, e anzi sull’insieme del film e il messaggio che veicola, non posso davvero che entusiasmarmi, applaudire, e augurarmi che lo stesso possa succedere al più grande numero di persone possibili. Ha ragione Petrini, temo, quando annuncia in un modo che ricorda un pochino nostradamus ma in meno divertente, che cosi come sta andando questo nostro sistema non tiene la strada. E tutto ragionato, naturalmente terribilmente ovvio, eppure ci è voluto Slow Food per farcelo presente. Il grande merito di questo film è senza ombra di dubbio che spinge come poche altre opere (ed era senz’altro anche questo l’intento e non si può dire in questo senso che il film non sia riuscito) a una presa di coscienza, a un desiderio di azione (il punto poi è che quel desiderio deve mutarsi in azione e non rimanese un mero movimento dell’animo emozionato). I slowfoodisti in tutto questo sembrano dei valorosi guerrieri che stanno dalla parte del giusto (buono e pulito), roba che mi farei la tessera e l’orto anche domani :-). Però, e senza togliere nulla a quanto affermato prima perché si tratta davvero di virgole e di piccole note in margine, ci sarebbero paio di ulteriori piccole riflessioni che vorrei condividere, se non altro per meditarci sopra (mia nonna diceva che c’è più in due o più teste che in una sola, ecco :-) :

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In cui si parlava di arte cinematografica
C’è qualcosa, nello stile di questo film (che di suo è un filino più rivolto verso il ‘film aziendale’ che non verso il vero e proprio film d’autore), laddove c’è (più che altro nella sua seconda parte), che mi fa vagamente pensare a quel modo insistentemente pedagogico che avevano anche la tivu e le pubblicità anni sessanta, come ad assumere che agli spettatori (che sono un po’ scemi) è meglio dire le cose in modo molto chiaro, molto palese, e magari aggiungendoci pure i sottotitoli. Qui i sottotitoli non ci sono, però la pesante insistenza su certe scene macro – una per tutte, quella del bambino che nell’orto vive la ”meraviglia” del contatto con la natura (mancava giusto uno slogan tipo ‘nella natura il vostro bimbo cresce più sano’) – l’ho trovata piuttosto irritante. Stessa cosa per l’esagerata amplificazione e/o la ricostruzione di alcuni suoni (voglio dire, non siamo più naif come quarant’anni fa, se vediamo la ruggiada che cade dai fogli, in macro, sentendo il rumore di gocce d’acqua che cadono, pensiamo a postproduzione, anzi, quasi che vediamo distintamente l’accessorista impegnato con pipette e secchi d’acqua a riprodurre i suoni che la macchina da presa non potrebbe aver colto (l’effetto ‘il suono dei passi del comissario Derrick sul marciapiede bagnato’). Insomma, parere personale però avrei preferito una poetica un po’ meno artefatta e un po’ meno forzatamente a effetto (perché cosi come bisogna essere fiduciosi nella natura e nella sua capacità di rigenerarsi, bisogna essere, a volte, fiduciosi nell’uomo e nella sua capacità di meravigliarsi, di essere colto dalla semplice poesia delle cose, evitando di volerlo ingozzare direttamente con l’essenza distillata della poesia, credo, ecco :-)

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Ernesto & il mito del buon selvaggio
Lo dicevo prima, un buon quarto del flm narra la storia e l’abitat di Ernesto, contadino veneto, morto nel 2004. Ernesto da 40 anni viveva solo e ritagliato da tutto e tutti, in totale autarsia, coltivando e consumando poche umili verdure (più vegan di così? :-), cucendo i suoi stessi vestiti usando stracci superstiti e rifiutando ogni immiscione esterna, campando senza luce né gaz. Accessoriamente ne risulta che Ernesto ha cosi creato un microcoscmo, anzi un biotopo, perfettamente equilibrato, incontaminato. Si assiste quindi a questa scena – forse l’unica veramente diretta da Olmi – in cui ‘delle grandi menti’ sedute intorno a un tavolo nel giardino di colui che nel inverno del 2004 è morto di fame e di freddo (la terribile estate del 2003 aveva praticamente distrutto la sua raccolta dell’anno), a estasiarsi su ciò che dovrebbe diventare il primo presidio di Terra Madre, e un modello – seppur irraggiungibile – per tutti. Ecco, io qui mi fermerei un secondo perché questa cosa qui non mi va proprio giù. Perché intanto Ernesto, visto da fuori, sembrava francamente più affetto da una qualche forma di autismo più o meno grave, e di certo non di convinto ecologismo (stiamo parlando di 40-50 anni fa, l’ecologismo non si sapeva cosa fosse e bene o male tutti producevano molte cose in casa), e capisco che non sia, di per sé, posto come ‘modello da imitare’ però è pur sempre un modello, uno dei due casi particolari sui quali questo film indugia. E come dovrebbero averci insegnato due milenni di cattolicesimo, porre come modello (aggiungerei in questo caso ‘discutibile’) per tutti un esempio irraggiungibile d’emblée, tende a creare frustrazione e infine abandono. E invece, e in realtà spero davvero di sbagliarmi, Ernesto mi è sembrato esattamente il Cristo di Terra Madre. Un Cristo autistico, emotivamente fragile e rifugiatosi dai suoi simili. A meno che, non fosse il gran ritorno del mito del buon selvaggio (che dopotutto sono solo due secoli e mezzo che ogni tanto rispunta fuori). In ogni caso, a me il ritorno alla terra sta benissimo, ciò che mi va molto meno bene e di farlo portandosi dietro un’icona del genere (voglio dire, visto che ci siamo, non è che potremmo anche sceglierci un Buddha più sociale, positivo e felice, per caso??)

Chi non ha peccati scagli il primo caricabatteria
Sempre nel solco della storia ernestiana, e poiché anche l’altro esempio, altoadesino, mostra una situazione molto agricola di altri tempi e quindi molto poco contemporanea, dal punto di vista dell’infrastruttura, e nonostante io sia convinta che less is more e che faremmo meglio a spegnere la tivu più spesso, trovo di nuovo questi esempi un filo troppo in là, troppo vicini a ciò che noi non potremo mai realizzare. Cosi la domanda, altrettanto estrema, sorge spontanea: ma voi, uno di voi, qualsiasi, che abbia pensato, scritto, girato o contribuito in un qualsiasi modo a questo film, a questo movimento, vorrebbe davvero vivere così? Sarebbe disposto a rinunciare a tutto, al paro di un monaco eremita? Appendendo al chiodo ogni sorta di filo elettrico ed elettronico e insieme a loro tutto ciò che di fatto fa la nostra vita, anche sociale? Sedendosi davanti alla finestra di casa, fissando il vuoto, la pioggia, il lento passare del tempo, aspettando che crescano i faglioli?? Io penso, e temo di non sbagliarmi affatto, che la risposta sia immancabilmente – no. Per cui mi chiedo un pochino perché gli ‘esempi’ debbano essere così drasticamente agricoli quando la realtà, cioè una vera soluzione pratica e concreta per noi, di ritorno alla natura e all’agricoltura dovrebbe essere, per forza di cose, un misto conciliando modernità e consapevolezza dei gesti e di tutte le cose semplici ed elementari che stiamo perdendo per strada. Ecco, di nuovo, per me, avrei preferito, invece di vedere due pezzi di una vita lontana da me come lo sarebbe il pianeta Pandora, delle situazioni concrete, vere, in cui qualcuno è riuscito a conciliare vita moderna con un atteggiamento ecologicamente e eticamente responsabile (e di esempi ce ne sono), in qualche modo, per me spettatore, sarebbe stato più profitabile, perché quelli avrebbero potuto essere degli spunti veri per la mia vita quotidiana vera (e certo io non sono il centro del mondo e Terra Madre ha a che vedere con il pianeta e non solo con il mondo occidentale, però stiamo pur sempre parlando di un film italiano…). E con questo arrivo al mio ultimissimo punto…

Voglio una vita da supermercato…
Ovviamente è solo una battuta per fare rima. Di nuovo lascio molto europacentricamente da parte il discorso ‘terzo mondo’ per il quale in realtà tutto questo ha molto più senso, e torno alla mia vita di piccola italiana media, che trascorre le sue giornate fra macchina, lavoro, casa, e… supermercato. Ecco, io, per la mia piccola vita, e per poter assecondare in qualche modo l’entusiasma teorico che mi nasce dal leggere e sentire i programmi di Slow Food e Terra Madre, vorrei delle risposte e dei suggerimenti che riguardano la mia vita concreta, il mio quotidiano. Certo, i prodotti presidiati sono belli e buoni, ma io me li trovo e compro solo quelle tre quattro volte l’anno che vado in gita. Certo, sarebbe bello avere l’orto ma mi andrà già bene se con il mutuo sulle prossime due generazioni mi daranno due metri quadri di terrazza con vista cortile. Il resto del tempo sono abbonata al super sotto casa (perché, anche se poi magari qualche volta ci vado, non ho il tempo concreto di attraversare la città alla ricerca della gastronomia chic che mi venda 1kg di fagiolini di pigna a 10 euro per la mia pasta quotidiana, e via dicendo). Quindi, nell’insieme, io vorrei davvero capire come potrei fare per dare alla mia esistenza, giorno per giorno, un’impronta più giusta e pulita (e magari anche buona). Ecco, qui, su questo punto, mi sembra si stia creando un enorme gap che nulla colma, e personalmente non vorrei che per me o per altri, il mondo Slow fosse solo un sogno bello, lontano e che non avesse in finis nulla a che vedere con come acquisto e consumo al quotidiano. Certo, degli elementi di risposta ci sono (e magari anche più praticabili di ‘beh trasferisciti in campagna e costruisciti una casa ecologica’), ci sono i gruppi di acquisto, e mille altre cose, però in fondo non è Slow Food stesso a dirmelo, quindi ecco, la mia domanda e il mio augurio a Slow Food sarebbe esattamente questa: di pensare e di avicinare anche la quotidianità della gente media dotata di buona volonta ma di poca capacità di azione – cioè della gran parte di chi vive in europa – e suggerire modi altrettanto concreti per cambiare significativamente qualcosa nel quotidiano modo di essere…

Terra Madre
un film documentario di Ermanno Olmi
prodotto dalla Cineteca di Bologna, ITC movie e Slow Food
dvd Feltrinelli

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82 Commenti

  • silvana ha detto:

    non si parla dei negozi bio specializzati che come da noi in Versilia sono circondati da 3 GAS. I Negozi danno lavoro, pagano tante tasse e contibuti, i GAS? niente.In più qui tutta la zona è inquinata da diossina (inceneritore che non ha mai dato le ciffre esatte delle emissioni…)e tanti produttori locali senza scrupoli che coltivano, vendono, e non hanno fatto analisi proprio sulla diossina? normale un’etica cosi? (perchè si sapeva!)noi non vendiamo prodotti locali per questo motivo.bisogna anche dire queste cose e non idealizzare troppo.

  • çet ha detto:

    veramente belli commenti!!!!

  • Lilja ha detto:

    @dulcinea: anche io ho tra le mani il libro di J.S. Foer!

  • Lilja ha detto:

    Ciao Sigrid.
    Quello del latte comprato all’ultimo momento è un problema che mi pongo anche io, come quello degli ingredienti utilizzati ogni volta che mangio in bar, ristoranti, pizzerie etc. In effetti, il senso che ogni scelta fatta a livello personale debba per forza essere parziale abbatte un po’e, come dire…urge una soluzione!
    Grazie a te e a tutti per la discussione: è stato davvero bello vedere quanta partecipazione un tema così difficile, in qualche modo anche “elitario”, sia riuscito a suscitare…

  • Dulcinea ha detto:

    Grazie per queste riflessioni per questo argomento che ho molto a cuore, ognuno di voi mi ha dato modo di riflettere, vorrei suggerirvi un libro di Jonathan Safran Foer ‘Se niente importa’.

  • Tery ha detto:

    Ciao Sigrid, finalmente ho letto tutto e sono completamente in accordo con te. Non ho visto il film/documentario, ma dal tuo racconto penso di aver capito il messaggio.
    Proprio qualche sera fa discutevo con il mio ragazzo sull’importanza dell’elettricità. Siamo arrivati alla conclusione che la scomparsa dell’elettricità sarebbe paragonabile ad uno tzunami. In quanti riuscirebbero a sopravvivere? Niente più frigoriferi, niente più macchinari industriali che impacchettano il cibo da recapitare ai supermercati. Quanti sarebbero in grado di coltivare un pezzo di terra per garantire il proprio fabbisogno? e in quanti avrebbero a disposizione questo pezzo di terra?
    Inutile dire che la nostra società non ha bisogno di andare a questi livelli di “ecologia”, ma basterebbe trovare un’etica che rispetti il nostro mondo, i prodotti che arrivano sulla nostra tavola e nella nostra gestione del rapporto con il nostro pianeta. Basterebbe un pò di etica ecologica e un pò di rispetto in più per noi stessi.
    Dovremmo essere meno macchine, smettere di ingurgitare frutta che sa di patata e patate che non hanno più sapore, carne chimica che è bella solo a vedersi ma di sicuro non altrettanto buona.
    Perchè bisogna fare i numeri per mangiare il pane che sia fatto solo di farina acqua e sale e verdura che non sia geneticamente modificata?
    Mi rendo conto, però, che il problema è riconosciuto da troppe poche persone. Quando esco parlo con qualche coetaneo e spiego che per mangiare carne buona faccio scorta in Calabria o vado nelle campagne lombarde, che per le verdure aspetto il mercato per trovare il contadino che abbia qualcosa di buono e mi guardano con lo sguardo da alieni, allora mi rendo conto di essere davvero un caso eccezionale.
    Purtroppo è ancora una minoranza troppo piccola a riconoscere il problema… che prima o poi qualcuno riesca a svegliarsi?!
    Certo è che la soluzione non è tornare ai buoi per tirare l’aratro.

  • Lidia ha detto:

    Letto tutto, con grande interesse. Grazie alla padrona di casa per aver avviato questo discorso. Mi limito a condividere un interrogativo che pongo a me stessa. Quanto sto pagando la mia comodità in termini di salute? Cosa c’è in quel frutto o quell’ortaggio che lo rende bello, perfetto, conservabile a lungo prima nel negozio e poi nel mio frigo, inattaccabile a malattie, muffe, disponibile in una stagione che non è la sua? E quel qualcosa, messo, anche a piccole dosi, nel mio corpo, giorno dopo giorno, che effetto farà con il passare del tempo? Non sarà che, invece di finanziare -dopo- la farmacia per curare disturbi vari, potrei spendere -prima- un po’ di tempo e denaro in più per trovare alimenti che non intacchino la mia salute?

  • Valeria ha detto:

    @Sigrid: la tua ultima riflessione è giustissima (fare l’equazione mercato=buono, supermercato=cattivo è spesso fuorviante). Di mio ho scoperto un ottimo supermercato, che non è un marchio diffuso in tutta Italia come es. Despar o Carrefour, ma che ha 5-6 punti vendita qui in zona e che quindi si rifornisce dai produttori locali per tutto il reparto carni e quasi tutto quello ortofrutta, dicendoti esattamente da dove viene la roba (non solo, ti dà l’alternativa km 0 anche per molte altre cose confezionate). Costa meno e sai cosa mangi, è comodo e c’è molta scelta. Credo che se tutti i marchi di supermercati italiani adottassero una logica di questo tipo sarebbe già un passo avanti. Poi certo, dare la possibilità a chi vuol spendere quel qualcosa in più in qualità VERA di avere una fascia di prodotti artigianali, biodinamici ecc ecc.
    Mi collego all’ultimo esempio, quello del latte: per chi fosse interessato, ci sono ormai in ogni città, e in quelle grandi più di uno (anzi molti) distributori di latte crudo a km 0 che permette di avere latte buono e fresco in città e di conciliare genuinità con eco-impegno (es. ti devi portare tu il contenitore). La mappa la si trova qui http://www.milkmaps.com/ e la lista dei produttori (non so se siano tutti…) è questa http://www.coldiretti.it/Distributori%20latte%20Coldiretti.pdf
    @giulio: concordo con tutto quello che hai detto tranne su un punto. Slow Food non chiede al mondo occidentale di tornare a 100 anni fa. Chiede solo che si metta il contadino che vuole fare agricoltura in modo sostenibile e non vuole abbassarsi alla produzione massificata di farlo in maniera (anche economicamente) dignitosa. Il film, ripeto, con il vero pensiero alla base dell’azione Slow ha poco a che vedere, sul serio.

  • Elisa ha detto:

    Grazie a Sigrid e a tutti, davvero un bell’incontro di idee! Sono socia Slow Food e mi ritrovo molto in quanto scritto da Valeria. Riguardo al film, che mi è piaciuto molto, credo si debba accettare il fatto che contenga qualche “licenza poetica”, anche un po’ provocatoria, ma forse oggi un po’ di provocazione è necessaria per attirare l’attenzione su temi importanti. Forse non emerge del tutto cosa sia Terra Madre, che è anche un’evoluzione di Slow Food, ma non solo: una rete di comunità del cibo, che da anni tenta (e riesce anche un po’ di più anno dopo anno) di mantenere in contatto tutte quelle persone che nel mondo vivono delle loro piccole produzioni agricole e di “artigianato alimentare” (contadini, allevatori, pescatori, panificatori, ecc.). Sappiamo tutti che non sempre vivere di queste cose è facile e non sempre è frutto di una scelta, ma piuttosto di una tradizione locale, o magari del semplice fatto che in quel luogo non si può vivere d’altro. Scopo di Terra Madre è permettere a queste persone di sentirsi meno soli pur nella propria specifica identità, di avere contatti con chi vive esperienze simili (magari per scambiarsi anche consigli tecnici sulle produzioni), dare loro un poco di sostegno perchè continuino a fare ciò che fanno e sentano magari meno il bisogno di mollare tutto perchè “chi me lo fa fare a me di far tanta fatica per un’utopia tutta mia”. Non propone un modello di vita assoluto che tutti dobbiamo seguire, ma un’occasione in più per non perdere parti di questo mondo che poi dispiacerebbe a tutti non avere più…vi è mai capitato di avere nostalgia di quella cosuccia buona (un dolcetto? una minestra?) che vi faceva la nonna da piccoli e buona come la faceva lei non fa più nessuno? Se moltiplichiamo questo per tutte le nonne del mondo e allarghiamo ancora un po’ il ragionamento forse riusciamo a percepire un pochino di quello che Terra Madre cerca di salvare!!! Ecco…son caduta anch’io nella licenza poetica!! :o)

  • Sigrid ha detto:

    wow! :-) Devo ammettere che ci sono un sacco di spunti, letture e osservazioni interessanti – e anche un sacco di testimoninianze di chi – slowfood incluso – fa cose interessantissime :-)

    Io vorrei giusto aggiungere una mezza nota, nel senso che qua e la mi è parso che questa mia cosa del ‘supermercato’ fosse stata un filino travvisata, ecco, appunto, quel che mi interesserebbe sarebbe una comunicazione verso che, magari per abitudine e vera mancanza di tempo, non frequenta che quelli, cioè io continuo a pensare che già solo frequentare mercati di produttori o gas sia la conseguenza di una certa maturazione, di un pensiero sulle proprie azioni ecc, e invece penso che molti moltissimi non sono arrivati a questo ‘stadio’ mentre mi piacerebbe si occuppasse anche di loro, in qualche modo (come poi, c’est une autre paire de manches :-). In quanto al discorso sui mercati beh, la noia è che c’è mercato e mercato, conosco un paio di banchi molto interessanti, al mercato di testaccio per esempio, ma ne so anche molti altri dove, per dire, il cavolo è etichettato ‘Italia’ e tu vai a sapere da dove arriva e non arriva (mi hanno raccontato certe robe allucinanti quella volte che sono andata a visitare il MOF di Fondi che francamente temo che alcuni mercati o alcuni banchi non siano poi molto meglio del super… :-//) Sul biologico invece è tutto da vedere, come diceva Bressanini, è possibile che di per sé non cambi poi tantissimo, forse che la vera differenza sta nella coltura intensiva o meno (la classica differenza che passa fra la carota dell’orto e quella del supermercato, ecco, in quanto ad alimentazione per bambini, se fosse possibile dargli delle cose che sapessero anche di ciò di cui dovrebbero sapere sarebbe meraviglioso, e magari in tal senso si ricorre al bio pensando – forse sbagliando, non saprei – che in qualche modo sia anche più buono degli altri prodotti, no??, mentre in fondo, il bio intensivo del supermercato non è detto che faccia poi tutta sta differenza enorme – però almeno sai che non hai contribuito a inquinare smoderatamente ed è già qualcosa)
    In sostanza, si, mi piacerebbe che qualcosa di questo discorso, qualcosa di queste iniziative, si spostassero sul supermercato, decisamente, perché li ci sono mille cose in gioco, dall’informazione dei clienti medi alla sensibilizzazione su imballi e inquinamento, e potrebbero essere anche ottimi luoghi in cui proporre prodotti ‘diversi’. Sarebbe bello se i le catene stesse arrivassero a pensieri del genere (anche se visto l’andazzo, la corsa al pomodorino marocchino, al calamaro del’oceano indiano e altre robe assurde del genere, temo proprio… )

    Aggiungerei che mi ritrovo molto moltisismo in ciò che molto saggiamente ha scritto Giulio :-)

    @lilja: il mio ‘problemino’ con Ernesto non era per come vivesse di per sé – per carità – ma aveva a che vedere con la questione del ‘modello’ (insomma, scegliere di raccontare lui piuttosto che qualsiasi altra cosa è una scelta ‘redazionale’ di comuncazione, e quindi, per forza, qualcosa significa. Che dia una scossa ecc, che apra uno squarcio nel nostro modo di intendere il mondo, però, di nuovo, si potevano scegliere mille altre cose, e invece si è scelto di parlare di una persona che rifiutava ogni contatto con i suoi simili, ripeto, non è un modello che mi piace, tutto qui :-) Di nuovo, io sono perfettamente daccordo, in teoria, sul cercare il latte e le uova ecc, ma in realtà le mie interrogazioni erano molto più basiche di questa: anch’io – e penso il 99% di chi legge – nel momento del ‘mi serve qui e adesso e ho finito il latte’ scendo al bar a comprarlo, e allora mi chiedo se potrebbe essere diversamente, e, semmai, come??

  • Valeria ha detto:

    p.s: c’è un commento in attesa di moderazione (non ho idea della ragione) rivolto a @walter @.manu e @francesco in cui ringrazio e concordo.

  • Valeria ha detto:

    Ci tengo a sottolineare, infatti, dato che si parla di Terra Madre e di Slow Food in particolare, che Slow Food non equivale a biologico e biologico non equivale a Slow Food, anche se le cose hanno un ovvio legame. Detto ciò, sono convinta, come ha detto @giulio runner, che dietro molte grandi aziende del biologico ci sia molto marketing (sono, ad esempio, quelle che hanno premuto perché si portasse la soglia ogm allo 0,9%). Ma sono altrettanto convinta della maggior genuinità di chi fa biologico con convinzione e su piccola scala, credo sia una conditio sine qua non dell’eccellenza di cui si è detto…

  • pina sozio ha detto:

    volevo dire “aridi” naturalmente…

  • pina sozio ha detto:

    Mia nonna conserva i semi da sempre (ha 96 anni ed è ancora una contadina), lo fa mia madre da sempre (nonostante mia madre di mestiere faccia l’insegnante) e inziierò a farlo anche io (nonostante di mestiere faccia la giornalista).
    Non è detto che tutto ciò che la modernità porta sia cattivo (senza mac non vivrei), ma non è detto nemmeno che sia tutto buono. Molte cose ci stanno facendo diventare marci,arici, come i semi che propinano ai contadini indiani.
    Io ho deciso di cambiare rotta, checchè ne dicano i profeti del progresso. E meno male che non sono da sola.

  • giulio (runner) ha detto:

    @Dario: concordo in pieno, la storia del biologico è una bufala colossale ed è semplicemente criminale che si speculi creando delle paure e facendo credere che il biologico sia più sano. E’ semplicemente falso, un’operazione di marketing che molti hanno cavalcato e alla quale molti continuano a credere.

    Esistono alcuni produttori che producono prodotti più buoni ma il biologico non c’entra nulla. C’entra di solito la varietà della pianta, il terreno, l’esposizione, etc. Spesso ma non sempre la produzione è artigianale e ha un costo più alto. Pensiamo al vino, all’olio di oliva dove credo sia evidente la differenza tra un prodotto eccellente e il primo prezzo che si trova al supermercato. Ma il “biologico” qualunque cosa significhi, non c’entra assolutamente nulla, non tutto ciò che è biologico è automaticamente buono e i prodotti eccellenti non sono necessariamente biologici.

  • giulio (runner) ha detto:

    Sigrid: Malcolm Gladwell ha scritto libri strepitosi, uno meglio dell’altro. Uno di questi si chiama Blink e tra le diverse riflessioni sostiene che quando capiamo che qualcosa che ci viene detto “suona male”, avvertiamo quel certo “gut feeling”, quella sensazione di pancia che ci stanno prendendo per i fondelli…beh Gladwell sostiene che dobbiamo assolutamente fiduciosamente credere alla nostra pancia.

    Questo è il tipo di sensazione che avverto ogni volta che sento parlare pseudo-guru come Petrini e la Shiva. C’è dietro una visione del mondo tagliata con l’accetta in giusto e sbagliato, un modo di ragionare ideologico per cui è naturale che quando viene riprodotto in film sembra la propaganda sovietica di molto tempo fa con forzature, distorsioni per non parlare di veri e propri falsi come la faccenda dei semi.

    La ragione per cui questa visione ci sembra in qualche modo attraente è che è in contrasto con qualcosa di altrettanto sbagliato quale l’ipersfruttamento del pianeta, la distruzione dell’ambiente in cui viviamo, la corsa al basso costo di produzione.

    Penso ci debba essere qualcosa nel mezzo di questi estremi che possa essere applicabile dagli umani cittadini del mondo occidentale. Ma credo che l’approccio di Slowfood sia sbagliato perchè estremizza, polarizza, fa pensare che il mondo agricolo di 100 anni fa sia l’obiettivo a cui tendere mentre è chiaro che questa è una follia pura. Se per magia fossimo in grado di riprodurre quel mondo agricolo da Mulino Bianco avremmo immediatamente una carestia di proporzioni bibliche.
    Ma è altrettanto vero che quando riusciamo a mettere le mani su farina prodotta artigianalmente, su uova del contadino, su ortaggi non coltivati intensivamente il risultato organolettico nel nostro piatto è completamente diverso. Io sono disposto a pagare di più questa qualità ma purtroppo non sempre ho il tempo di andare al sabato a cercare il mercato o andar per fattorie. Quindi il meccanismo non funziona benissimo perchè il grosso del mio consumo rimane al supermercato. Esperimenti come Eataly o Hesperia già rendono più accessibili alcuni prodotti. Se quel modello si estendesse, se il singolo supermercato offrisse prodotti organoletticamente più buoni ad un prezzo più alto forse ci sarebbe spazio per una maggiore diffusione quotidiana del prodotto artigianale, ci sarebbe un mercato, una nicchia per un segmento che preferisce mangiare meglio anche se spende qualcosa di più.
    E’ un approccio molto pragamtico il mio, non è ideologico-sognatore-utopico e non risolve il problema della fame del mondo. Ma credo sarebbe abbastanza praticabile ed economicamente potrebbe stare in piedi.

  • izn ha detto:

    è stato bello leggere questa tua riflessione.
    Ancora piú bello leggere i commenti di chi ha ammesso con rammarico di non averci mai pensato, o meglio di aver deciso di soprassedere, perché era piú facile, fino a queste tue parole.
    Ho solo una cosa da dirti, che spero ti sia utile: si può fare :-)

  • franco scarpa ha detto:

    Dario, anche se la vediamo diversamente sul biologico, per me è importante un po’ di cultura dell’alimentazione nelle scuole, giusto per vedere qualche obeso da merendine in meno, e magari anche anche qualche genitore. Poi se i genitori vogliono aderire al biologico, è già un passo successivo. Io non sono assolutamente drastico su queste scelte, rispetto quelle degli altri, ma che almeno si sappia che c’è un’alternativa all’alimentazione delle grandi multinazionali, che detto per inciso fanno anche molti ottimi prodotti. Sono anche cosciente che aderendo al biologico non ho prove particolari
    che la mia salute migliori, ma credo che un comportamento complessivo più rispettoso dell’ambiente nei piccoli gesti,dove il biologico è un piccolissimo tassello, con tutto l’ovvio marketing e anche qualche furbo che si porta con se, sia utile per il nostro futuro. Senza illudersi che da una parte ci sia tutto il buono e viceversa.

  • thasmania ha detto:

    Cara Sigrid,
    lo scorso anno, Ermanno Olmi ha “donato” questo piccolo grande film ad uno straordinario festival che si tiene a Gavoi, bel paesino della Barbagia in Sardegna. Ti assicuro, che alla fine della proiezione eravamo tutti commossi. E’ stato un momento bellissimo.

  • Lilja ha detto:

    Dario, grazie mille! Ora sono più “tranquilla”…

  • Dario Bressanini ha detto:

    Lilj: l’antispam e’ automatico e agisce in modi misteriosi. Quando Sigrid leggera’ questi commenti vedrai che lo sblocchera’.

    Franco: be’, io non concordo sul biologico, trovo che il suo successi sia figlio del marketing tanto quanto altri prodotti. Trovo irragionevole che si obblighi degli asili o delle scuole a comprare bio (piu’ costoso) quando non c’e’ uno straccio di prova che sia piu’ nutriente, che sia “piu’ sano” o che comunque valga il prezzo piu’ alto. Viste le scarse risorse pubbliche non concordo per nulla con l’opera che fa Petrini di diffusione del biologico. Non mi piace quando si gioca sulla paura per vendere un prodotto, quando si instilla il dubbio che i prodotti “convenzionali” possano in qualche modo essere “pericolosi” per i nostri figli. I prodotti convenzionali sono tanto sicuri quanto gli altri, tanto e’ vero che la legge prevede dei limiti di residui IDENTICI per tutti i tipi di prodotti, non distinguendo bio da non bio.

  • Lilja ha detto:

    @Mirandola Un po’ di tempo fa, propio qui sul Cavoletto, Sigrid scrisse di un’iniziativa a Roma identica a quelle di cui parli tu…Io però non sono di Roma e quindi non so dirti di più. A Lodi, dove sto io, c’è ogni settimana un mercato di produttori locali, ci sono varie cascine che vendono direttamente quel che producono e così via. Certo, quello di cui parli tu sarebbe una gran bella cosa anche qui!
    Per il mio post rinuncio. Ho ritentato a inviarlo e mi dice ancora che quel che ho scritto è in attesa di moderazione (ma io non sono Sgbarbi e non sbraito come una dannata, che bisogno c’è di moderarmi???).
    La cosa mi infastidisce un po’, anche perchè rileggendo l’unica parola sospetta potrebbe essere uno sciocco, usato nel senso di “è sciocco pensare che”, quindi senza insultare/offendere nessuno. Uffa, CHE BARBA! Ci son stata pure su un po’ e mi sento come se, nel mezzo di un dibattito, dopo aver raccolto le idee e trovato il coraggio, io mi alzassi a dire la mia e PAF mi spegnessero il microfono, in attesa di approvare quel che ho da dire…Ah, uno spirito si aggira per il web. Lo spirito della censura, ih ih!

  • Luisa ha detto:

    @ Tutti. Non ho mai letto cose così interessanti e così vere come in questa pagina. Grazie di cuore a tutti.
    Luisa

  • Valeria ha detto:

    @walter: slow food è diventata ormai un’associazione internazionale e ha le sue divisioni a livello nazionale. Esiste una slow food USA parzialmente autonoma (la cui presidente, Alice Waters, cura tra le altre cose il progetto dell’orto biologico della casa bianca, e insieme a Michelle Obama sta facendo moltissimo per l’educazione alimentare negli USA) che agisce per migliorare la situazione interna e sviluppare progetti di proprio interesse. Questo per dire (come ha detto perfettamente @Francesco Tonelli) che non vengono promossi prodotti di questo o quel paese in sé e per sé, piuttosto si promuove, in usa come ovunque, uno stile di vita basato su tre principi fondamentali: 1)stagionalità 2)filiera corta 3)rispetto per l’ambiente (quindi biologico, biodinamico ecc); e sulla base di questi si fa semplicemente tanta tanta informazione, soprattutto alle nuove generazioni, perché è proprio questa che manca (almeno per quanto ho potuto constatare anch’io qui da noi), ed è quindi proprio questo il maggior ostacolo all’azione e al cambiamento.
    @.manu: ti ringrazio, la mia esperienza è parziale ma per lo meno serve a confermare che Slow Food non è solo un mucchio di belle parole, che la base, le persone, ci mettono davvero del loro per fare qualcosa. Trasmettere consapevolezza della propria responsabilità individuale come consumatori singoli è il primo passo, secondo me. Detto ciò, spetta ad ognuno di noi decidere a cosa è disposto a rinunciare.
    @ Francesco: quoto in pieno la tua frase “se non é impossibile farlo in uno stato come New York, credo che in un paese come l’Italia dove cibi, produttori e mercati sono talmente piu’ numerosi, offrire il nostro piccolo contributo per cercare di ricondurre la nostra alimentazione a livelli piu’ naturali, ragionevoli e meno industriali e senza criterio, dovrebbe essere ancora piu’ facile…”. Il tuo è l’esempio lampante che basta un po’ di buona volontà per migliorare il nostro stile di vita e con esso, forse, si spera, anche qualche stortura del sistema.

  • franco scarpa ha detto:

    Non intervengo mai a discussioni su blog per il poco tempo a disposizione, ma l’argomento mi istiga all’azione…allora come tutti voi sono impegnato fino alla sera su vari fronti, ma ditemi, cinque minuti per ragionare però si trovano? E non dico su questa splendida bacheca,(giuro, è la prima volta, io che per motivi professionali, ironia, ci lavoro su questi media), ma per esempio nei stramaledettissimi supermercati che vi fanno fare al massimo dieci passi, quando dite che sono l’unica vostra possibilità di salvezza alimentare? Io la penso come gli amici di Slow Food, sono felice di sentire tanti sostenitori dei Gas, amo alla follia chi lavora nella scuola per fare educazione alimentare e sono felice di aver constatato anche oggi qui quanti amici sono sulle stesse mie corde. Lascio ad altre occasioni le discussioni su Ogm, semi, estetica dei film sul buon selvaggio ed altro che pur mi interessano….ma di che parliamo? Carissimi, ma vi siete accorti di quanto gente, tra i vostri amici anche di buon livello culturale sa di tutto ma di cultura dell’alimentazione è al sublime grado dei partecipanti del Grande Fratello? Mi accontenterei, chiedo poco, che al supermercato, se disgraziatamente volete andar solo li, compraste verdure di stagione, leggeste le etichette, spendeste qualcosina di più per il biologico quando c’è, che non compraste prodotti con pack dieci volte più voluminosi del contenuto
    (detto dal sottoscritto che per mestiere fa anche questo è una bella provocazione) che quando ci sono promozioni su prodotti equo solidali o fatti da cooperative nate dalle confische alla mafia, lasciaste in pace quel povero tonno che persino la comunità europea si è accorta che è quasi estinto(se ci sono riuscito loro, amici, potete farcela, aboliamo ‘stà tartare!) spendeste quell’accidente di euro in più..fate un paio di telefonate e di Sms in meno ed investite, in cultura della salute e del territorio per i vostri figli! Già facendo questo primo passo si fa molto all’interno del supermercatino che magari cambierà col tempo la politica di fornitura! Poi usciremo insieme a fare altre cose splendide in altri luoghi, mentre gli amici che fanno educazione nelle scuole lavorano già per il futuro (a questi riserverei una santificazione sul calendario).
    Di Petrini non parlo perchè lo stimo troppo. Non è necessario essere d’accordo con lui su tutto, ma dove lo si trova un promotore di sane idee, di stimoli,come lui, in parlamento forse..?

  • Mirandola ha detto:

    Sarebbe bello lanciare in Italia un’organizzazione, magari cooperativa, che permetta a chi vive in citta’ di abbonarsi e in cambio ricevere una consegna settimanale a domicilio di frutta e verdura in stagione e locali.

    Gli indirizzi web che seguono sono di aziende inglesi. Li ho aggiunti un po’ perche’ spiegano l’idea meglio di quanto non possa fare io e un po’ perche’ mi sembra assurdo che non si possa fare anche di meglio in Italia.

    http://www.riverford.co.uk/?T=1269263747&JTID=144860206&OGID=235&network=GAW

    http://www.abelandcole.co.uk/

  • Lilja ha detto:

    Umble umble…Ho scritto un commento, un po’ lungo lo ammetto, ma cosa significa: “Il tuo commento è in attesa di moderazione”?

  • Lilja ha detto:

    E se di Enrico si parlasse con uno scopo preciso? Ad esempio, non nel convincimento che altri e molti potrebbero/dovrebbero fare una scelta simile (sarebbe illusorio e sciocco, e in Slow Food e nel pensiero del suo fondatore io non trovo nulla di sciocco o illusorio!), ma con l’intento di darci un bello scossone e mostrarci SUL CAMPO che il nostro mondo non è il solo e che esiste un’altra forma di vita. Non una forma di vita aliena, ma una realtà terrenissima e vicina a noi. Insomma, fra milioni di italiani che hanno uno stile di vita simile, che va dai supermercati a Internet, c’è anche una parte di popolazione, magari esigua, rara, in via di estinzione MA NON SOCIOPATICA eddai!, che vive così. Giusto per specificare che sì, vivere Come Natura Comanda è difficile, ma non è un’opzione che appartiene al mondo della fantascienza! Pensare che sia impossibile, o patologico addirittura, è una nostra mancanza di immaginazione e di tolleranza, secondo me…
    Detto questo, essendo una pigra impenitente, non potrei mai ambire a vivere senza elettricità, telefono, macchina e senza tutte le belle comodità del mondo “civilizzato”. Però, con nessuno sforzo, il sabato mattina salgo in macchina e in due minuti raggiungo la cascina nella quale, ogni fine settimana, il proprietario organizza un mercato e vende verdura e frutta biologiche coltivate e raccolte da lui, a tre chilometri da casa mia!, uova deposte dalle sue galline, che NON vivono in batterie dell’orrore, carne di animali che vengono macellati solo quando è stato raggiunto il numero di prenotazioni necessarie a smaltire la carne di una intera mucca, di un intero maiale…Il tutto a un terzo del prezzo che pagherei in un supermercato! E anche quando sono al supermercato, come ha scritto con tanta chiarezza Francesco Tonelli, cerco di comprare con il…cuore, cercando di scegliere il latte, le uova, il formaggio che hanno causato meno dolore. A chi a quella produzione ha lavorato (bè, sì, a me fa impressione sentire un produttore di latte dire che 10 litri di latte venduti non gli bastano a pagarsi un caffè e che tutta la ciccia se la pappano i distributori e i rivenditori!), all’ambiente e, ovviamente, agli animali che vengono “munti fino al midollo”…
    @ Gian dei Brughi: bè, non so che dire…invidio il tuo entusiasmo per il mondo in cui vivi e la convinzione con la quale sostieni che, nei cinquant’anni che più di ogni altra epoca hanno mutato e stravolto il pianeta, siano andati persi solo le morti per parto e lo schiavismo. Niente di positivo allora che oggi non c’è? Niente di negativo che allora non c’era e oggi C’E’?
    Io non credo alla favola della società “più democratica” e progredita (tanto sviluppo, ma il progresso dove sta?) e dall’idea del “ora sì che sto a posto perchè ho il diritto a votare”, della povertà come spavento assoluto e del son “tutti modaioli e senz’anima” quelli che tentano di avere un’idea sul da farsi dissento con tutte le mie forze…con simpatia, eh!

  • campanellino ha detto:

    Ho appena comprato il tuo libro… ma lo voglio autografato!!! quand’è che torni dal Giappone?

  • Aniko ha detto:

    a parte coltivare il nostro orto con i nostri semi (desiderio utopistico visto che non ho tempo neanche di bagnare le piante ) ..io comincierei con togliere tutti gli imballi di plastica che avvolgono le verdure vendute nei supermercati.

  • @Walter Grazie per il tuo commento :)

    Slow Food non promuove tanto i prodotti in se stessi, quanto i principi con cui i prodotti vengono creati e distribuiti.

    Qui negli Stati Uniti promuove prodotti tipici Americani da preservare (presidi come certi tipi di formaggi, frutti o animali indigeni di queste localita’) e prodotti coltivati o prodotti localmente e per quanto possibile, artigianalmente. Per cui incoraggia gli Americani a comprare meno prodotti globali dai grandi supermercati e piu’ prodotti locali, prodotti nelle campagne adiacenti a dove ciascuno abita.

    Cerca di evitare che la gente compri per esempio asparagi e pomodori a Dicembre che provengono dal Cile o dall’Argentina.
    Per quanto scontato e di base, non hai di idea di quanta gente ha bisogno di imparare e capire perche’ acquistare in questa maniera non é una buona idea. E Slow Food sta facendo davero un ottimo lavoro nell’educare e sensibilizzare la gente.
    Ma c’e’ tanta ancora strada da fare…

  • Giulianagiu ha detto:

    Scusami ancora ma da quanto so io non vengono usati solo virus vegetali e scusa ancora non sono cappuccetto rosso….

  • Dario Bressanini ha detto:

    Giulianagiu: i virus vegetali non attaccano gli animali, altrimenti ogni volta che mangi un vegetale correresti il rischio di diventare verde (per l’insalata) o rosso (se mangi un pmodoro ;-) )
    E ti assicuro che non c’è nessuna correlazione con le allergie

    ciao Dario

  • walter rossi ha detto:

    Bel post Sigrid,
    Francesco Tonelli anche le tue di foto sono molto belle, che fate tutti il corso di fotografia? :)
    Una domanda Francesco, ma la slow food in america promuove prodotti Italiani?

  • Un grazie di cuore a Sigrid, Valeria, Dario e tutti quelli che stanno contribuendo a questa discussione.
    Argomento importantissimo ma anche estremamente complicato da capire e soprattutto da affrontare. Come Dario ci fa capire non é sempre tutto facile e roseo come in una bella favola. Ma é anche vero che qualche cosa bisogna fare per cambiare un sistema che sta diventando sempre piu’ pericolosamente industrializzato e senza scrupoli.
    Vi posso dire che anche negli Stati Uniti la gente si sta sensibilizzando sempre di piu’, grazie a Slow Food, ma anche a tante persone che si attivano presso scuole, mercati e fattorie.
    E per coloro che come me vivono una vita “normale” tra casa, machina e lavoro, e non possono coltivarsi il proprio orto, o acquistare solo prodotti presidiati o di nicchia, é comunque possibile fare dei piccoli/grandi cambiamenti quotidiani che ci consentono di esprimere la nostra opinione e soprattutto un vero e proprio “voto” con ogni acquisto. Per cui senza stravolgere completamente i nostri ritmi e la nostra vita é comunque possibile contribuire ad un cambiamento, leggendo con piu’ attenzione le etichette dei prodotti che si sceglie di acquistare, prestando attenzione ai prodotti di stagione, ai cibi prodotti o coltivati intorno a noi, frequentando quando possibile i mercati rionali o locali dove i produttori vengono a vendere i loro prodotti. Informandosi e comprendendo sempre di piu’ l’argomento attraverso libri come quello di Michael Pollan suggerito da Chiara per esempio o attraverso film e documentari come FOOD INC per esempio (se non l’avete visto, ve lo suggerisco).
    Vi assicuro che anche qui a New York é possibile cambiare la nostra alimentazione in maniera positiva, piu’ sana e senza necessariamente stravolgere la nostra vita. E se non é impossibile farlo in uno stato come New York, credo che in un paese come l’Italia dove cibi, produttori e mercati sono talmente piu’ numerosi, offrire il nostro piccolo contributo per cercare di ricondurre la nostra alimentazione a livelli piu’ naturali, ragionevoli e meno industriali e senza criterio, dovrebbe essere ancora piu’ facile.
    Mi auguro che uno alla volta, ognuno di noi riesca a trovare il modo per dare il suo contributo. Se almeno noi che amiamo e lavoriamo a stretto contatto con il cibo quotidianamente, riuscissimo a dare l’esempio e a cominciare in questi primi e piu’ difficili passi, penso che l’impatto si non tarderebbe a farsi sentire.
    E nel frattempo, se non altro, la nostra alimentazione individuale ne beneficerebbe.
    Ciao a tutti.

  • Giulianagiu ha detto:

    Correggo una agronoma e un biologo

  • Giulianagiu ha detto:

    @Bressanini Scusa ma la persona che mi ha spiegato questo è biologa e non ha alcun interesse in tutto ciò anzi.

  • Barbara ha detto:

    Ciao Sigrid,
    come al solito sei pacata ed equilibrata nei tuoi commenti e io sono molto d’accordo con te. Provo anche io fastidio quando cercano di enfatizzare certi concetti o certe situazioni esagerando con gli effetti speciali o i commenti “ansiogeni”.
    Vivo a Milano e ho tre figli; vado al super due volte a settimana e cerco sempre prodotti bio (che costano almeno il doppio) e prodotti di stagione. Concordo molto con Dario Bressanini che cerca sempre di riportare le situazioni usando il buon senso e la verità scientifica. Mi piacerebbe fare di più e mi piacerebbe che si sviluppasse una vera politica ecologica REALE, trasversale ai partiti che pensi al bene comune invece che ad arricchire i suoi politici! Probabilmente è utopia (guardiamo alla legge sulla privatizzazione dell’acqua), però mi piace sognare….!!!!
    Alla scuola della più piccola coltivano l’orto e imparano a conoscere le piante aromatiche. Ci sono tante situazioni legate alla buona volontà delle persone.
    Sono convinta che abbandonando la visione troppo facile e sfruttata del tornare tutti a coltivare la terra, sia necessario conciliare tecnologia e ecologia, cominciando dalle cose semplici di tutti i giorni (dividendo la spazzatura – che a Milano non si fa totalmente – ragionando sulla spesa, ragionando se gli acquisti che facciamo siano utili o meno, e …. anche spegnendo un po’ la tv.
    Grazie Sigrid per l’occasione.

  • Dario Bressanini ha detto:

    Giulianagiu: non è questo il luogo per entrare nei dettagli, ma le cose che dici non sono vere (virus, obbligare, allergie…)
    Ti consiglio di verificare meglio le informazioni che hai ricevuto, immagino, da qualcuno che ha più l’interesse a spaventare che a spiegare come stanno le cose :)
    ciao Dario

  • StellePorcelle ha detto:

    Sigrid for president!
    Io ti voto!!!
    PS passa da me, c’è l’oroscopo di primavera per tutti i tre mesi!

  • Giulianagiu ha detto:

    @Bressanini scusa non sono assolutamente daccordo, premesso che ho una controversa opinione su Vandana shiva vorrei sapere da te quanto sai della Monsanto e delle altre grandi aziende produttrici di semi, ti sembra giusto brevettare semi di piante che sono autoctone in alcuni luoghi e poi obbligare tutti quelli che le vogliono piantare ad usare i loro semi? oppure sai meglio di tutti noi come avvengono le mutazioni genetiche nel DNA dei semi viene introdotto un VIRUS questo attacca la struttura genetica del seme e la modifica. IL fatto preoccupante è che il VIRUS continua il suo lavoro di alterazione anche quando noi lo ingeriamo attraverso il cibo, creando resistenza ai farmaci e molteplici forme di allergia. Hai per caso letto gli studi relativi all’aumento di allergie negli stati uniti dove si fa largo uso di OGM? IO non sono contro il progresso assolutamente ma onestamente credo che correre troppo in una direzione spesso non ti fa accorgere se non al traguardo di quanti sono caduti strada facendo.

    @Sigrid ci sono tante cose da fare prima di ritirarsi a vita monastica e non rinunciare per forza al Super per la spesa ma consapevolmente fai attenzione al cofezionamento che è quello che crea più problemi di inquinamento vuoi perchè è troppo elaborato tipo plastica carta alluminio tutti insieme, vuoi perchè ci rende spesso difficilissimo riciclarlo. Non bisogna essere fondamentalisti in nulla però io finchè potrò scegliere non mangerò e non farò mangiare ai miei figli OGM.

    P.S. io caro Dario i semi li tengo anno dopo anno dalle mie piantine e così sono autonoma l’ho imparato da mio padre che aveva l’orto più bello del mondo e da mia cognata che ha un orto bio in Svezia (immagina la fatica) non è facile e richiede più lavoro che andare a comprare semi magici che resistono alla siccità etc. Questo ribadisco è solo il mio pensiero non condanno chi la pensa diversamente ne tantomeno inneggio al si stava meglio quando si stava peggio ho solo molto timore di quello che possiamo farci con le nostre sante manine.

    Scusate lo sfogo confuso non è facile trascrivere pensieri che mi creano continuamente dubbi enormi ma come al solito grazie a Sigrid per dare voce a degli interrogativi che per alcuni sono davvero sconosciuti, e dare spazio a tutti di esprimere la propria opinione.

  • chiara_c ha detto:

    @Sigrid…grazie per il bellissimo post…troppo spesso mi rendo conto di quanto poco mi fermo a riflettere sulle cose che mi circondano e di quanto sono spinta a non farlo, a non accorgermi di quello che mangio, respiro, bevo…troppo presa da altre cose…troppo concentrata a non soffermari su ciò che è alla base della vita.
    @tutti…non so che di voi ha letto “il dilemma dell’onnivoro” di Michael Pollan?
    Lo consiglio a tutti qulli che vogliono approfondire l’argomento.
    Un bacio…

  • casalinga catastrofica ha detto:

    cara sigrid,

    non scrivo praticamente mai ma leggo quasi sempre con entusiasmo i tuoi racconti e le tue ricette. questa volta hai toccatto un argomento molto interessante.
    hai ragione. bisogna trovare delle soluzioni “ecosostenibili” validi, fattibili ed attraenti per tutti. E’ chiaro che per cambiare qualcosa nel mondo, s’è sempre bisogno di esagerare. Penso per esempio alle femministe che bruciavano e reggiseni. Oggi bisogna che cambi il nostro atteggiamento verso la madre terra e il modo in cui ci nutriamo, ci teniamo al caldo e curiamo la nostra salute.
    quando vedo i miei figli che alla mensa scolastica mangiano dai piatti di plastica pietanze non biologiche e piene di grassi idrogenati sto male. vorrei gridare al mondo che stiamo sbagliando.
    E’ anche vero che ho tre figli, nessun aiuto in casa e molto lavoro da fare. Non ho l’orto perchè vivo in un grande condominio in città. ma nel mio piccolo sono riuscita a fondare un gruppo di acquisto. Una volta a settimana arriva un ragazzo che gestisce un azienda agricola alle porte di milano dove coltiva in modo biologico (tra l’altro so che seguono un metodo sviluppato in giappone). Ci sono periodi in cui c’è pochissima scelta ma abbiamo imparato a farci piacere i “cavoli” e a seguire le stagioni. Per noi è un viaggio bellissimo. ho anche portato i miei figli a visitare l’azienda. A loro piace tantissimo e sono molto orgogliosi di sapere da dove viene quello che mangiano. Da altre aziende compriamo pasta, formaggio e miele. Non è vero che c’è solo il super sotto casa come non è vero che dobbiamo tutti andare a vivere in una fattoria isolata dal mondo. Sarebbe bello se ognuno nel suo piccolo provasse ad onorare il mondo e fare un piccolo (o se possibile, anche grande) passo per migliorarlo.

    ciao cavoletto in giappone,
    barbara

  • Gian dei Brughi ha detto:

    dico anche un’altra cosa, un po’ più generale e filosofica… se guardiamo alla Storia con la S maiuscola e al rapporto di ogni società con la tecnologia e le macchine (e quindi con la natura e le sue “manipolazioni”) è facile accorgerci di come a società ad alto tasso di “schiavismo” corrisponda un bassissimo interesse nei confronti del progresso tecnologico. Perchè i greci (intendo quelli della gecia classica)ad esempio, pur avendo una fortissima attitudine per il pensiero teorico-meccanico hanno costruito così poche macchine? perchè conoscendo la leva, non l’hanno sfruttata appieno praticamente? semplice perchè avevano a disposizione una quantità infinita di forza-lavoro servile a bassissimo costo e quindi di sfruttare la terra e le sue risorse meccanicamente non gliene importava proprio nulla. Insomma, il rapporto uomo-macchina, uomo-natura si basa su equilibri parecchio complessi e strutturati. Io non sarei così scettica nei confronti degli aerei, delle lavatrici, della luce elettrica e perchè no, degli ogm o dei supermercati. Sono tutte espressioni di una società democratica in cui le donne hanno il diritto di lavorare e (almeno a parole)non esistono più servi.

  • .manu. ha detto:

    Ciao a tutti! Premetto che anche io ho fatto davvero molta fatica a leggere tutto e qualche commento l’ho anche saltato, in più non ho visto il film, ma ci sono un paio di cose che vorrei dire, senza pretesa alcuna.

    A Sigrid, direi che l’ho trovata velatamente populista al contrario..ovvio che chi vuol fare il monaco zen ci va e lo fa e se noi stiam comunicando è grazie alla tecnologia; posto questo c’è differenza tra avere un cellulare per la funzione che svolge (tipo il mio da 19.90€ che, per inciso, svolge perfettamente il suo lavoro) ed avere un super I-Mela-non-più-mela che voglio poi vedere in quanti ne han bisogno (personalmente rabbrividisco a vedere le pubblicità tipo: “per familiarizzare con la metro di un nuovo paese”..macchè ci siamo tutti rincretiniti?! come se prima senza di quello non ce la si potesse cavare.. ma ovvio, siamo sempre più nella spirale del tutto-e-il-più-velocemente-possibile-così-è-ancora-di-più ed alla maggior parte va bene così, di che lamentarsi, quindi?!)

    Vorrei ringraziare Valeria perchè il suo contributo è reale..non amo le etichettature e non mi farei mai socia slow (mai dire mai manuelina!) ma è vero che ci sono molte molte realtà come quelle da lei descritta, e non per forza etichettate. Giro per lavoro nelle scuole le più varie e sempre più spesso vedo orti nei giardini, come anche decorazioni fatte con materiali di riciclo; cammino per il mio paese e scopro il mercatino dei produttori di zona; mi associo al GAS per mangiare meglio io, prima di tutto e per la consapevolezza del minor impatto che produco, poi (non credo che il cibo “buono” sia solo quello di nicchia a diecimila biliardi per chilo, tutt’altro! ..e chi ragiona così di nicchia, ancora, che avrà mai poi da lamentarsi nell’esser di nicchia?)
    In tutto questo non credo di essere particolarmente brava ma solo una che ragiona (e il cervellino ce l’abbiamo tutti!) prima di compiere un gesto, non per ultimo l’allungare il braccio verso gli scaffali del supermercato, decidendo poi se farlo o meno.

    Per quanto riguarda semi&co, invece, divergo totalmente da Dario Bressanini. Credo che l’acquisto dei semi in molti (e molti e molti e molti) paesi sia un gran business..portato, guarda caso, dai paesi più ricchi; un po’ come il “ti dò l’acqua ma ti installo la pompa che dico io per il pozzo così poi mi diventi dipendente da petrolio&co per farla funzionare; come farai a permettertelo non si sa ma un modo lo troverai perchè in questi 10-15-30 anni di presenza di cooperazione ti ho fatto abituare, prima non avevi da bere neanche a chilometri di distanza ora hai il rubinetto in casa, di che ti lamenti?” (tengo a precisare che per fortuna ci sono anche agenzie di cooperazione -poche pochissime ma buone- che ragionano non solo in termini di finanziamenti e risparmio ma valutando bene l’impatto del loro operato).

    Ed infine non è vero, almeno non in assoluto, che il recupero delle colture tradizionali non sia lucrativo per gli agricoltori. Ho trascorso qualche mese in un piccolo contesto rurale in sud-italia e quello che ho visto e che mi è stato riferito è che oramai ci sono un connubio di situazioni politico-economiche talmente ingrovigliate che gli agricoltori stessi, calcolatrice alla mano, mi facevano gli esempi (molto molto molto concreti) di come potrebbero guadagnare quasi il doppio con 1/3 dei sussidi che ricevono ora, riducendo acqua e quantità di prodotti a favore di una qualità vera. (Credo che in questo il Consorzio della Quarantina faccia scuola).

    Ci sarebbero ancora così tante cose che vorrei dire e ringrazio di cuore Sigrid per aver aperto una discussione così interessante, soprattutto perchè mi fa sperare che in futuro potrò avere un lavoro anche io ;) ma credo sia molto meglio tornare a scrivere la tesi sui miei contadini, che a quanto pare sono molto più lungimiranti della stragrande maggioranza di noi! :)

  • Gian dei Brughi ha detto:

    @ sigrid
    non mi stavo riferendo a te, parlando di “nuova moda”, lo sai ;-), nè sono una che gira col SUV e si mette la pelliccia di tigre (o di qualsiasi altro animale) tipo crudelia demòn (anche questo mi sa che lo sai già :-)), solo che mi piace molto osservare le persone e i loro atteggiamenti con occhio un po’ attento e critico. Insomma, a volte credo che anche nel bene, anche in una vita ecologica, se le cose sono fatte senza criterio e soprattutto in maniera talebana e senza mediazioni, il rischio sia quello di accettare supinamente un sistema cadendo nel solito vortice del “si fa così perchè è bello e basta”. Insomma a me, se ti devo dire, tutte quelle mamme che in nome di un “ritorno alla natura e alle buone cose di una volta” non comprano ad esempio i pannolini-usa-e-getta per i loro figli, ma usano quelli in stoffa da lavare ogni volta in lavatrice (o a mano!), mi fanno un po’ sorridere. Se lo possono permettere perché probabilmente non lavorano e hanno del gran tempo da buttare via (anche qui, nuovo cliché modaiolo-borghese della mamma felice a casa con il grembiulino a fare torte sane per i suoi novantasei figli), oppure, molto semplicemente perché hanno una domestica filippina che lo fa per loro (e non so quanto, la poveretta, sia felice di farlo!!).

  • Zazie ha detto:

    Sigrid, come spesso mi accade, mi trovo a condividere pienamente le tue riflessioni!
    Bella l’idea del cinéclub!!!!

  • Dario Bressanini ha detto:

    Glu.fri: conosco un po’ la situazione argentina. Stai parlando ovviamente della soia. ormai il 99% della soia argentina è tutta ogm, e prevalgono i gandi appezzamenti, non i piccoli agricoltori.
    D’altra parte, se non ci fosse tutto questo consumo di carne, non servirebbe tutta questa soia (geneticamente modificata o meno). E mi riferisco anche ai salumi ovviamente (in italia importiamo grandi quantità di soia ogm per allevare i nostri maiali con cui poi faremo prosciutti e salami)

  • elisabetta ha detto:

    Mi hanno raccontato di un vecchio contadino ,credo abbia circa 80 anni che ancora adesso, in un paese vicino a Bologna (Crevalcore) vive dei suoi prodotti (vegetali e animali) in perfetta solitudine scambiando uova e radicchi con farina e olio e facendo durare i suoi vestiti e suppellettili da sempre. Una nipote cinquantenne e molto in gamba settimanalmente lo va amorevolmente a trovare. Non è assolutamente malato di mente, gli piace solo vivere così.

  • Sigrid ha detto:

    @dario: eheheh, infatti, ”immaginavo” ci fosse anche un ‘suono di campana” (per dirla in francese, hum) diverso sulla questione dei semi, appunto, vedrò di leggere qualcosa dell’altro versante della questione, di certo sono sicura che le cose non sono mai semplice come tendono a sembrare. In ogni caso, fin qui, per me, non so nemmeno se essere pro o contro, a me l’ogm in ogni caso non fa paura (ed è evidente che già ce lo sorbiamo), in compenso m’interessa lo stimolo, insomma, dovrei leggere un po’ meno romanzi e un po’ più su queste tematiche qui, lo farò :-)

    @gian: hai ragione, ma senza voler essere modaioli (uuuh :-)) mi sembra anche utile e bello semplicemente provare a rifletterci (insomma pensare fa mai male né? :-))

    @shayma: oh, really? you had her as your teacher?? That must have been really interesting! (you must know much more about her thoughts and work than one could learn out of the books, wow…) Can I ask what was the the course you followed?

    @dario again: a propos, l’anno scorso, per lavoro, sono stata per tre giorni in un’azienda vinicola in cui parte della produzione è biodinamica. E li, senza nessun tono indottrinamentoso, mi hanno spiegato cose semplici, come il personale desiderio di recuperare dei gesti manuali, carichi di un senso che in genere è andato perduto, nel senso che spesso e volentieri, gli agricoltori comprano piante di cui non sanno di preciso da dove arrivano, poi ci buttano sopra tutti i concimi che sono stati prescritti da chi ha venduto le piante e il resto, e alla fine della fiera nessuno sa perché fa cosa, cioè c’è qualcosa dei saperi antichi, in questo come in mille altre attivitò ‘manuali’ che si va perdendo, mentre molto probabilmente, almeno per come la vedo io, una parte della felicità che ora ci manca, la potremo recuperare semplicemente tornando a quel legame più stretto con la natura, con le cose in generale, con il nostro biotopo, con la materia, è una questione di contatto, di gesti, di sapere sensitivo, e tutto questo sinceramente mi interessa molto, in generale. Ovviamente, non risolverebbe, immagino, macroproblemi mondiali, ma qualcosa di piccolo, per noi, nel quotidiano, penso proprio di si – per dire una scemenza, ‘impastare’ il proprio pane, secondo me rende pià felici :-) (e comunque, io l’ho vista la differenza fra vigneti ‘trattati’, vigneti bio e vigneti biodinamici, e la differenza è veramente veramente flagrante, non solo nel sapore del vino ma anche nell’aspetto delle piante, la vigna in generale :-) (finisco qui che devo scappare, poi torno :-))

  • Glu.fri ha detto:

    @Bressanini, divoro i tuoi articoli e post anche da Buenos Aires, Argentina…moolto interessante tutto questo argomento. !
    Adesso parlero’ con i miei amici del “campo” che hanno una robetta di quei pochi 2.500-3.000 ettari (o piu’..).
    Mi spiegheranno ancora meglio perche’ sono affascinati dagli OGM e non hanno paura di mangiarsi i vitelli alimentati con roba OGM. A
    nche qui il pascolo libero si sta riducendo, utilizzano sempre piu’ quello che chiamano feed lot, ossia un’alimentazione piu’ “forzata”: maggior rendimento ossia piu’ bestie da esportare e campi piu’liberi per coltivazioni OGM..ovviamente. Sono quelli che poi vendono al mondo intero.
    Inoltre mi sembra che ci sia una variabile culturale rispetto al cibo. Da noi in Italia e’ una parte fondamentae e integrante della nostra identita’, qui e’ considerata prima di tutto una necessita’ e solo adesso di sta diffondendo una cultura gourmet , e solo nello strato piu’ abbiente della popolazione, la famiglia media ha come riferimento un ventaglio di alimenti piuttosto lmitato e soprattutto la carne grigliata.
    Pochissimi si sognano di fare discussioni sull’organico o sul trasgenico, anche perche’ la fame, quella vera dico, quella per cui si muore, qui esiste ancora e allora il problema e’ riempire la pancia. Con qualsiasi cosa, se proteica meglio. Insomma come da noi nei bei tempi andati…o meglio immaginati…
    Il perche’ esista la fame in un paese come questo poi e’ tutto un altro bel tema…

  • Gian dei Brughi ha detto:

    grandissimo Dario !!!
    sono assolutamente d’accordo con te. Recentemente ho visto a Roma una rassegna cinematrografica su alcuni reportages fatti nella campagna lucana tra gli anni ’40-’50 e mi sono sentita tutto il blablabla su come era bella la società di allora e come non era contaminata dalla tv e dal consumismo…ma che bello e bello, quello era un mondo di una povertà assoluta, dove si moriva di parto e di fame! ma ben vengano le signore di oggi che al posto delle contadine fanno le estetiste! almeno non si ritrovano con le ossa rotte a trent’anni.
    Scusate se faccio, come al solito, la bastiana contraria (e credetemi se c’è una persona attenta al mondo che la circonda quella sono io), ma a me tutto questo parlare di cultura “sostenibile”, a volte senza alcuna misura e senza alcun senso critico, mi sa tanto, ma tanto, di cosa modaiola e senza anima.

  • Ancutza ha detto:

    Un discorso complesso e con molti spunti…secondo me un minimo di equilibrio e buon senso , la giusta via di mezzo di Aristotele per filosofare un pò, cambierebbe un sacco di cose a livello pratico…Non ho visto il film, grazie per la dritta, ma partendo da quello che dici tu, in merito a Ernesto, è forse questo uno dei problemi: vedere l’interesse dell’individuo e quello della comunità come fossero conflittuali invece di provare di conciliarli. E poi il ritorno al “naturale” e alla natura potrebbe iniziare dal non lamentarci sempre e comunque che d’inverno nevica, in primavera piove e d’estate fa caldo.

  • shayma ha detto:

    a beautiful, beautiful piece, Sigrid. so current and so apt. lots of things to be said about this analytical piece you shared with us. i was very lucky to have studied under vandana shiva in university- it was a great honour- she is really a phenomenal lady. another lady i have great admiration for is wangari maathai, she truly deserves that Nobel Peace Prize. It’s always a pleasure to come to your site to see photos of life, of people, of food- of the world. x shayma

  • Valeria ha detto:

    @Bressanini: grazie per il chiarimento! :) sono perfettamente d’accordo con te sul fatto che una volta si stava molto peggio, e io conservatrice non sono per nulla, per fortuna! :D nel cercare di farmi un opinione, mi sono trovata in parte d’accordo con Petrini e Shiva (ma non in tutto, comunque), continuerò ad informarmi sulle diverse posizioni sul tema. A questo proposito, ho apprezzato la tua (mi permetto di darti del tu, se posso) risposta ai 10 no agli ogm di Petrini sull’espresso, è importante sentire sempre più punti di vista.
    ciao, valeria

  • Dario Bressanini ha detto:

    Glu.fri, da dove scrivi? Sudamerica? (Brasile o Argentina?)

  • Glu.fri ha detto:

    Uuh che discorso difficile!!
    Dalla mia visione a testa in giu’, quello che dicono qui e che io ascolto con angoscia e’ che: OGM e’ bello sano, sfama il mondo.
    Qui il problema degli 0 km non se lo pongono date le dimensioni del paese, non c’e’ una vera cultura sulla nutrizione, sulla diversita’. E’ un paese carnivoro e proteico.
    La gran risorsa economica argentina, quella li ha salvati dal baratro e’ la soja transgenica, che costa pochissimo coltivare e resiste a tutto. Pare che ‘sta benedetta soja dopo vari passaggi arrivi poi nei nostri bei prosciuttini italiani.
    Non ti dico quanta ne arriva in Cina e in Giappone. A questo si aggiunge il mais, il girasole e tutte le altre piante la cui produzione va destinata a oli o alimentazione animale.
    Questo paese esporta alimenti destinati milioni di persone, pensate che non arrivi nulla sulle nostre tavole?
    Ma di questo Bressanini ne sa piu’ di me.
    E io sono sempre piu’ confusa…

  • Dario Bressanini ha detto:

    @valeria: vuol dire semplicemente che, anche se nessuno li obbliga, lo ritengono conveniente.
    Salvarsi i propri semi è rischioso, puoi avere raccolti meno produttivi, pieni di malattie, e in più non hai a disposizione le nuove varietà che sono state sviluppate dagli agronomi.

    C’è molta “mistica” intorno ai semi (è una cosa che non sopporto dell’approccio di Petrini e Shiva), ma per me sono solo un input tecnologico che gli agricoltori usano per produrre. Così come comprano fertilizzanti, trattori, casse, gasolio etc, si comprano anche i semi.
    Infatti queste “critiche” vengono solitamente da chi non ha mai coltivato (professionalmente) in vita sua, da chi vede l’agricoltura non come una attività come un’altra, che deve produrre un profitto per chi coltiva, ma qualche cosa di romanticamente ancorata al passato. Il Film di Olmi (e il messaggio di Petrini) infatti m i sembrano estremamente conservatori. Però una volta si viveva proprio male, e tutta questa “armonia” con la natura non c’era proprio. E si capisce benissimo guardando “l’albero degli zoccoli” ;-)

    ciao dario

  • Livia ha detto:

    Sono di Roma ma da un po’ di anni mi sono trasferita in provincia nella classica casetta in campagna, da due anni faccio l’orto d’estate, la mia spesa al super si dimezza, i frutti raccolti sono spettacolari, da un famoso vivaista di Firenze ho acquistato piante da frutta che non necessitano di troppe cure e ci permettono tutta l’estate di mangiare frutta senza comprarla, ci occupiano noi due, io e il mio lui, di tutto, tantissima fatica ma è davvero gratificante e ci tiene in grande forma.. certo a Roma tutto questo non sarebbe stato mai possibile e sopratutto non ci sognamo davvero di lasciare i nostri lavori di professionisti poichè la campagna ti da di che mangiare ma non ti permette altro, però ci siamo resi conto in questi 3 anni che è possibile essere completamente autonomi, volendo anche da costi fissi, noi abbiamo acqua di pozzo potabilissima e buonissima, no telefono fisso, dipendiamo dal gestore elettrico ma confidiamo nel futuro per staccarci come dal gas. Come in tutto c’è la faccia dell’altra medaglia e un prezzo da pagare in altra moneta, esempio l’orto non ti manda mai in vacanza, mai! il raccolto non va sempre a gonfie vele; per fare questa vita tutte le passioni, gli interessi, gli hobby, andrebbero messi da parte, una follia. Noi cerchiamo di fare quanto nelle nostre possibilità nulla di più ma perseguire MASANOBU FUKUOKA è pura utopia. Leggete “L’orto di un perdigiorno” di Pia Pera. Noi siamo partiti da li. Questo è il mio piccolo contributo alla riflessione. p.s Dario Bressanini sui semi ha pienamente ragione, le piante si ibridizzano autonomamente se rivuoi quel pomodoro tocca riprendere sementi selezioante tutti gli anni. Le stesse api impollinando creano incroci genetici e quindi le seconde generazioni non saranno mai identiche ai genitori e dopo tanta fatica l’incognita non è assolutamente contemplata.

  • Valeria ha detto:

    @Bressanini: premesso che sono felicissima che si sia aperto questo dibattito e che spero di uscire imparando qualcosa in più sulla questione, ho qualche domanda in sospeso. Il fatto che convenga loro economicamente non vuol però dire che non sia un compromesso, in senso assoluto, o no? E il fatto che ormai si faccia cosi da decine di anni non significa che non si possa tornare un po’ sui propri passi, messe sulla bilancia tutte le considerazioni (economiche, ecologiche, etiche) del caso, no? Certo che sono pochissimi quelli che si conservano i semi da sé, ma se questa minoranza fosse più lungimirante e meno egoista?

  • evvivanoè ha detto:

    Se vuoi vedere un altro documentario su “terra madre” che da voce diretta agli stessi contadini (infatti le riprese sono state realizzate dai vari coltivatori nei loro rispettivi Paesi e poi montate e costruite dai registi) guarda il dvd allegato al libro di Petrini “Come non farci mangiare dal cibo”.I registi sono Paolo Casalis e Stefano Scarafia, due ragazzi giovani (miei amici :))
    Ciao!
    Sara

  • Dario Bressanini ha detto:

    Vaniglia: sull’acqua non so che cosa dica la Shiva sinceramente :-)
    Io bevo anche quella del rubinetti ;-)

  • vaniglia ha detto:

    *Dario Bressanini: ma è vero???? Ora vado a cercarmi quello che hai scritto, così mi informo un po’ sul “controcanto”…. E in merito alla questione dell’acqua, che mi dici? Pensi che scriva “poco seriamente” anche in quel caso?

  • vaniglia ha detto:

    ciao Sigrid, sai che nonostante il film mi sia interessato fin da quando ne sono venuta a conoscenza, ancora non l’ho visto?
    forse è proprio per le immagini che mi davano quella strana sensazione di foto del libro del catechismo di quando ero piccola. ma come dicevo il film non l’ho visto, quindi non potrei dire, più di tanto. La Shiva invece sì, che la conosco e mi piace (vista ascoltata e letta), e i temi trattati sono non solo interessanti, ma anche piuttosto in linea col mio modo di vivere l’ecologia quitidiana (diciamo a prescindere da Slow Food, e senza nulla togliere ai suoi moltissimi meriti)…
    Condivido i tuoi interrogativi in merito (e sono d’accordo con Stef, anche io credo che ci siano sempre più persone che condividano una certa consapevolezza rispetto a questi temi).
    Per quanto riguarda la questione della varietà e della biodiversità delle coltivazioni, mi ha tanto entusiasmato un libretto (su mele e pere) che per ora non è in ristampa, e che io ho solo in fotocopia, di cui ho parlato qui, qualche tempo fa…
    http://vanigliacooking.blogspot.com/2008/10/melibro.html
    E sulla questione sementi info interessanti qui:
    http://www.civiltacontadina.it/
    Ciao!
    Rossella

  • Dario Bressanini ha detto:

    Cara Sigrid, non l’ho ancora visto il film, però sai come la penso: quando vedo Vandana Shiva mi viene l’orticaria.
    Un’unica cosa sui semi: quasi nulla di quello che mangiamo deriva dai “semi che usiamo da che mondo è mondo” :-)
    La maggioranza degli agricoltori acquista semi che vengono sviluppati da aziende specializzate, così come tu non ti fai la farina da sola :-). Da decine e decine di anni.
    Perchè lo fanno? Perchè gli conviene, checchè ne dica la Shiva (sai che ho scritto spesso contro le falsità che la Shiva va da tempo in giro a raccontare sui contadini indiani)

    ciao Dario

  • pina sozio ha detto:

    Un po’ di consigli per una vita sostenibile?
    non andare al supermercato, ma farsi una passeggiata in uno dei milioni di mercati italiani che ancora resistono (o nei mercati contadini o nelle aziende agricole), parlare con chi vende il cibo, capire se è lui che l’ha prodotto o se conosce chi lo produce.
    Non bisogna per forza andare da Roscioli per trovare un buon formaggio. Si può andare il sabato al mercato contadino tiburtino e comprare la marzolina dal produttore che quella mattina è venuto da Frosinone.

    Ci chiediamo mai perchè al supermercato vendono solo aglio sudamericano? da quant’è che non comprate un aglio piccolo, magari colorato e sporco di terra?
    I polli andiamoli a comprare dagli allevatori. Non ci possiamo andare sempre, ok, ma un sabato mattina invece di andare da Ikea ci si può allungare in una delle campagne vicino a dove abitiamo, compriamo qualche pezzo in più e congeliamo.

    Non è così difficile come sembra. Un passo alla volta, e se lo facciamo in tanti, il passo diventa pesante sul mercato.

    Brava Sigrid ad aver sollevato il tema.

  • Stef ha detto:

    Non credo che un modello, per quanto irraggiungibile, debba creare frustrazione ed abbandono: la differenza sta nel vivere la tensione verso il modello in modo personale, unico, concreto.
    Oggi abbiamo tanti esempi di buone iniziative nel campo dell’alimentazione buona e giusta: i produttori bio, i gas, i negozi specializzati, l’informazione disponibile… Quello che mi sembra mancare è un sistema efficiente ed efficace per connettere l’offerta e la domanda, conveniente per tutti.
    Ma intanto siamo in parecchi a pensarci, a riflettere… e a provare ad agire. E non è poco :-)

  • Francesca ha detto:

    A proposito della Madre Terra, buona primavera. Io credo che non si potrà mai tornare al passato; lo si guarda, piuttosto, per sentire un legame che si teme di aver perso. Forse, abbiamo bisogno di una diversa angolazione da cui guardare le cose, per continuare a nutrirci senza morire.

  • Valeria ha detto:

    @Globtrotter: grazie a te per la bella risposta, se davvero ti ho fatto scoprire i gas, e magari ne hau anche trovato uno vicino che fa per te, mi fa immensamente piacere!! in fondo si dovrebbe essere consapevoli del fatto che, se di Terra Madre si parla, anche le azioni del singolo hanno, nel loro piccolo, influenza sulla collettività! quindi ben venga la pubblicità positiva! :D
    @Sigrid: p.s, quoto in pieno la tua ultima frase “la mia domanda e il mio augurio a Slow Food sarebbe esattamente questa: di pensare e di avicinare anche la quotidianità della gente media dotata di buona volonta ma di poca capacità di azione – cioè della gran parte di chi vive in europa – e suggerire modi altrettanto concreti per cambiare significativamente qualcosa nel quotidiano modo di essere…”. Davvero ti posso dire che la base, le piccole condotte locali di Slow Food stanno facendo questo. I film e le grandi convention sono belle, sono ragion necessaria ma non sufficiente a spiegare cos’è davvero Slow Food. Ti posso assicurare che non si mettono vanghe in mano a nessuno, si fa solo tanta informazione corretta e positiva (anche su come risparmiare, davvero!!), e soprattutto, tante piccole azioni per conciliare, e sottolineo conciliare (perché personalmente non rinuncerei a nessun aggeggio elettrico ed elettronico in nome di un ideale bucolico del tutto anacronistico) la nostra vita frenetica con un ritmo, che è quello della natura, che quantomeno va rispettato se non vogliamo mandare tutto in malora. Ecco :D

  • Sara ha detto:

    Cara Sigrid, GRAZIE per i momenti di riflessione che ci regali!

  • lille-flandres ha detto:

    Carissima Sigrid,
    non ho visto il film di cui parli ma sono sostanzialmente d’accordo con le tue riflessioni di fondo sulla compatibilità di un consumo ‘sano, morale e sostenibile’ e la contingenza di una quotidianità che spesso ci vede acrobati circensi tra il tempo contato, il km O per fare le compere (dove ad essere più ‘sostenibile’, se non hai due ore e/o una bicicletta, alla fine è proprio il market sottocasa) e il mutuo per la casa (che sta sopra il succitato market, ed è anche per questo che ti costa tanto). Sono contenta che tu ne abbia parlato perché oggi l’aspetto economico incide profondamente sulla scelta dei consumi (alimentari, detersivi, igiene personale) e oggi l’acquisto bio & equo-solidale per molte persone rappresenta un lusso dal momento che tra il discount e il prodotto certificato la differenza (senza dubbio motivata) si conta in euro (e non in centesimi).
    A volte occorre quindi fare di necessità virtù…
    Anch’io come te penso che le soluzioni si possano e si debbano trovare guardando avanti, integrando in modo armonico, rispettoso e responsabile l’eredità di quanto appartiene al passato con le conoscenze e le opportunità tecnologiche che ci offre il presente. Tornare indietro non si puo’. Altrimenti come potremmo leggerti in tempo reale tutti i giorni da Roma, dal Giappone e dai prossimi angoli di mondo che andrai ad esplorare???
    Ciao Sigrid, grazie e ancora grazie per le stuzzicanti ricette, i racconti sugosi e i preziosi bocconcini per lo spirito e la mente che solo tu sai scrivere cosi’.

  • Globetrotter ha detto:

    Bella botta la domenica mattina! All’inizio quando ho letto terra madre e ho visto la foto dell’impasto ho pensato fosse un articolo con la ricetta per il pane con lievito madre… :-) Man mano che andavo avanti a leggere ha cominciato a venirmi un profondo senso di angoscia, impotenza e senso di colpa… e io vivo in campagna…, ho anche un campetto, ma NON HO IL TEMPO di coltivare nulla, non riesco a stare dietro manco alle mie rose inglesi, che praticamente non richiedono alcuna cura. Concordo pienamente con te Sigrid, anche se non ho visto il film (come Ilaria76 mi baso esclusivamente sulla tua dettagliata descrizione), che magari Ernesto sembra più un autistico che uno che ha scelto di vivere secondo natura, e il bambino nella terra fa più pensare alla pubblicità del mulino bianco… Grazie per aver dato una sveglia alla mia coscienza, che queste cose le sa ma se le tiene ben nascoste in fondo al sacco, per comodità e pigrizia. E un grazie anche a @Valeria per avermi immediatamente dato una qualche alternativa (nemmeno io lo sapevo cos’è GAS…. ho dovuto guardare in google, e non lo scrivo apposta cos’è, così chi come me non lo sa, cercandolo gli si apre un mondo).
    Di mio in genere al supermercato compro già solo la roba di stagione, ha un altro sapore e costa meno (ieri c’erano le fragole in offerta ma se annusi il cestino sa di fragole quanto un lucida labbra al sapore di fragola appunto, anzi, meno). Ma si può fare di meglio, già seguire l’esempio di Valeria è un bel passo avanti….
    UN GRAZIE PERSONALE A SIGRID E VALERIA

  • Roberta G. ha detto:

    Cara Sigrid,
    leggendo questo tuo post, mi sono vergognata di averti chiesto tempo fa se avevi visto “Julie & Julia” quel film con Meryl Streep, perché leggendo la tua recensione su “Terra Madre” mi rendo conto ora di quanto sia più interessante riflettere su queste cose…

  • elena sir ha detto:

    …scusate, dimenticavo di aggiungere che la questione supermercato e quelli che sembrano essere prodotti ricercati, di nicchia, è piuttosto complessa, richiede molte riflessioni e distinguo ma una cosa io penso sia fattibile per chiunque: basta un giorno, mettersi a cercare vicino un mercato di produttori locali. Ce ne sono davvero tantissimi, quasi in ogni paese ormai (spesso facciamo chilometri solo per andare a cercare l’ultimo modello di cellulare in circolazione, e quanto lo paghiamo! riferimento lo so banale ma pur sempre vero). Ma basterebbe anche restare fedeli al proprio supermercato, però magari facendo un po’ di attenzione all’etichetta: sulla provenienza, sul tipo di coltivazione o lavorazione del prodotto…
    Sigrid, quando avrai un po’ di tempo sarebbe bello che si facessero due chiacchiere anche sull’agricoltura e soprattutto i cibi biodinamici… è tutto un mondo meraviglioso. Ancora grazie e a presto!
    nb. proprio tu che sei lì in Giappone Sigrid, prova a informarti sul mitico MASANOBU FUKUOKA… potrebbe cambiarti la vita!

  • elena sir ha detto:

    buongiorno, ringraziandoti Sigrid per aver sollevato queste riflessioni sul film e sul progetto Terra Madre, non solo concordo assai con Valeria ma se avete voglia di approfondire oltre vi consiglio di leggere o ‘Buono, Pulito e Giusto’ di Petrini (Einaudi) o l’ultimo ‘Terra Madre. Come non farci mangiare dal cibo’, sempre di Petrini (SlowFood-Giunti). Oppure, se vi ci sta ancora qualche pagina (!) il documentatissimo ‘Ritorno alla terra’ di Vandana Shiva. Sono davvero letture importanti, non certo da prendere come sacre ma doverose, per conoscere, valutare, formarsi un’idea, magari finanche per prendere posizione e agire! Grazie ancora, a presto e buona Madre Terra a tutti!

  • Lilli ha detto:

    con il tuo bel modo di esporre le cose è cero che vien voglia di vederlo….
    buongiorno Sigrid.

    lilli

  • Roberta ha detto:

    Interessantissimo, ma non riesco a leggere su computer. Stampo. Ma non aveva fatto anche “l’albero degli zoccoli”? Uno dei film più veri ed affascinanti che abbia mai visto.
    Devo vedere anche Terra Madre…

  • Valeria ha detto:

    Ciao Sigrid. Mi permetto di risponderti da socia giovane Slow Food, sono associata sa soli due anni ma qualcosa di come funziona Slow l’ho capito, dai…:D
    Il film di Olmi è sicuramente un’iperbole del vero messaggio che sta alla base del pensiero Slow, che viene invece perfettamente spiegato dalle parole di Petrini (ci sono molti video interessanti su youtube che lo testimoniano). Non c’è il minimo dubbio sul fatto che non si possa vivere come Ernesto (per carità!!:D), o come il signore altoatesino (che comunque è già meno estremo del precedente). Ernesto, da come la vedo io, è stato preso come esempio solo per mostrare che VOLENDO si potrebbe vivere anche di niente…Certo è che quasi nessuno vuole vivere così, Petrini compreso! :D Io l’ho visto come un invito a provare a capire un po’ di più i ritmi della terra e di cercare di assecondarli, seguendo le stagioni e relativi frutti; e uno spunto per riflettere sul fatto che VOLENDO si può vivere anche con poco, o comunque con meno.
    A parte questo, credo che nel film ci sia un’altra figura di spicco: Sam Levin, il ragazzo americano. Lui è, secondo me ma non solo (nella mia condotta abbiamo visto il film più volte e discusso molto a riguardo) il vero esempio di quello che è Slow Food nel mondo occidentale. Ovvero il tentativo di creare qualcosa di concreto per fare in modo che, anche in piccola scala, si inverta la rotta verso l’industrializzazione del tutto e si ritorni un po’ alla terra (almeno per quanto riguarda il cibo). In effetti, è proprio questo che si fa qui (io posso portare solo l’esempio di Slow Rovigo ma penso che sia così un po’ ovunque in Italia): creiamo progetti per le scuole, orti scolastici perchè i bambini sappiano che le mele non vengono dal supermercato (e giuro che alcuni mi hanno risposto così!), perchè i ragazzi del liceo sappiano cosa sono i GAS e magari vi possano aderire, per informare la gente sui cibi di stagione (frutta, verdura, pesce) affinché possano acquistare questi (risparmiando parecchio, il più delle volte) invece che comprare senza criterio. Si fa in modo che nelle mense scolastiche e ospedaliere ci siano cibi a km 0 coltivati con metodo biologico, riuscendo in questa battaglia che sembrava impossibile. E per finire, ci si diverte!! :D si organizzano incontri e cene coi prodotti degli agricoltori e degli allevatori locali, si riscoprono dolci tradizionali ecc… In breve, si fa informazione per giovani e non, si creano network virtuosi per il consumo di cibo locale (gruppi d’acquisto e mercati della terra), si aiutano i produttori locali virtuosi dandogli un po’ di visibilità con cene, incontri e quant’altro. Io, di mio, non vivo certo come Ernesto o l’altro tizio, però cerco nel mio piccolo di fare qualcosa. Basta anche limitarsi ai soli prodotti stagionali e che vengono da meno lontano possibile (non compro gamberi argentini o asparagi del perù, nè le zucchine o i pomodori d’inverno), informarsi bene sui gas più vicini e su cosa propongono, fare il più possibile le cose in casa evitando le cose preconfezionate (ma qui tu non hai certo problemi! :D). Ecco, io faccio questo, e penso che la stragrande maggioranza dei soci Slow facciano questo, il che è fattibilissimo e perfettamente conciliabile con uno stile di vita modernissimo come il nostro. Quanto ai prodotti presidiati, sono tali proprio perché rari e di produzione limitata per cui va benissimo anche se li acquisti poche volte all’anno in gita oppure se ti limiti ai prodotti dei presidi della tua zona (tipo la tellina, per dirne una! :D).
    Spero di non averti annoiato con questa filippica!
    Buona giornata!! :D
    Valeria

  • Ilaria76 ha detto:

    Ho letto tutto e:
    Non posso fare commenti su un film/documentario che non ho visto ma leggendo la tua puntigliosa recenzione condivido il edere la figura di Ernesto esasperata, mi ricordo che di quegli anni post II GM mia nonna mi raccontava la difficoltà della ricostruzione e la tenace voglia di andare avanti non all’insegna del’isolamento ma della collaborazione attiva alla vita che scorre. In questo ci ho sempre letto un “aiutati che Dio ti aiuta”, mentre dalla tua recenzione sembra ceh Ernesto si una figura passiva rispetto allo stile di vita slto… e di mio penso che le forme di estremismo non siano assolutamente producenti per nessuno.
    La tua osservazione sulla vita da supermercato non fa una grinza, nel caos del quotidiano dove un super che chiude alle 20.00 manda in crisi l’abitudinario della spesa tra le 2030 e le 21.00, come possiamo conciliare la ricerca di prodotti nostrani, di qualità e di salvaguardia per certe zone di produzione?!
    Sto sempre più dando la colpa al tempo, alla vita caotica che ti fa perdere il sapore del pane burro e mmellata…
    Noi viviamo in campagna, con il classico nonno che ha l’orto… mia figlia Caterina ha sempre consumato carote facendosele levare dalla terra, lavarle e finirno al verde…

  • CorradoT ha detto:

    Finalmente una posizione, la tua, equilibrata, tra idealismo e realta’.
    Riflessioni necessarie. Molto ben espresse, tanto di cappello.

  • Ilaria76 ha detto:

    Buon giorno Sgrid… mentre faccio colazione leggo tutto ;-)

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